Francesco sa che non gli è rimasto molto tempo. E ha fretta di dipingere il volto nuovo della Chiesa. Certo non ha mai nascosto il suo pensiero: per lui il posto  dei cristiani da duemila anni e più è la strada. Sì, è vero, ce ne sono anche altri di posti che i cristiani hanno costruito, che custodiscono e sentono loro. Ma per fedeltà a Chi ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” lui ha scelto la Chiesa di chi accoglie coloro che stanno alla porta o ai margini, gli “ultimi” di questa società indifferente che odia, ignora, esclude, gli assetati di Dio e di giustizia, affamati di pane e di pace, in cerca di cielo o solo di ascolto. Per Francesco l’unico posto che Gesù ha consegnato a chi gli vuol star dietro è proprio la strada. Ogni strada del mondo. E con un mandato deciso: andare incontro.

La scelta del mio amico “trasteverino”  Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna vescovo e cardinale, come nuovo presidente della Cei, l’ha scandito in modo chiaro e limpido. La nostra Chiesa, la Chiesa di Francesco è sempre più una Chiesa che sta per strada, che cammina insieme, che vuol raggiungere il cuore degli uomini e delle donne, e che parla a tutti nell’unica lingua universale: l’amore. L’unica comprensibile nella Babele di questo mondo. Don Matteo, giovane benestante, amico di Andrea Riccardi, volontario laico della comunità di Sant’Egidio, in quella Roma che lo stesso papa Paolo VI aveva definito la capitale degli invisibili, nelle baraccopoli si occupa anche di anziani e di immigrati. Da quella esperienza arrivano i primi rumori che sfoceranno poi solo nel 2000 in una chiamata sacerdotale.  Da subito è stato un perno diplomazia silenziosa della Comunità sant’Egidio. Nel contempo è riuscito a presentarsi come un prete di strada, in linea con l’immagine francescana che piace a tutti . Un prete di strada, ma del mondo.  Sarà, infatti, il primo arcivescovo bolognese a salire sul palco il primo maggio, partecipando alla tradizionale festa dei lavoratori . e istituisce il fondo san Petronio, un sussidio per chi si ritrova senza un lavoro durante il lockdown. Trova anche il modo per sostenere le piccole aziende che non licenziano. Chiuso il capitolo pandemia, la chiesa di Bologna è fortemente impegnata nell’accoglienza dei profughi ucraini e nel promuovere la cultura della pace.    Capace di tradurre tradurrà la sua pastorale del dialogo a più livelli, dai centri sociali all’assistenza ai poveri, rendendolo il prete di tutti.

Se qualcuno non avesse capito bene che cos’è il  “cammino sinodale” della Chiesa italiana, ora ha ricevuto un messaggio forte e chiaro, avrà un po’ di luce. Una luce gentile e profonda come Matteo Zuppi, di eccelsa misura spirituale e umana come Matteo Zuppi. E da credere dico grazie. Abbiamo bisogno di questa luce gentile e tenace che annuncia l’alba e fa vedere il cammino mentre gli artigli del Covid continuano mietere vite (moltissime agli altri capi di un pianeta ancora colpevolmente diseguale). Il neopresidente della Cei ha parlato subito di “due pandemie», guerra e Covid,  – all’unisono con papa Francesco– che sono colme entrambe di sofferenze E tutti noi, «compagni di strada consapevoli o inconsapevoli», possiamo renderci conto.

È alle indicazioni del Papa che Zuppi invita a guardare in queste settimane e mesi terribili che stanno coinvolgendo tutto il mondo. È in questa sfida che si colloca il cammino della Chiesa italiana, per comprendere le tante domande e sofferenze, per capire come essere una madre vicina e come incontrare i tanti compagni di strada. È la Chiesa che sta per strada e che cammina nella missione di sempre: parlare a tutti e raggiungere il cuore di tutti.