Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”. E’ la lezione di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia 44  anni fa, il 9 maggio 1978. Il suo sogno-profezia resta attualissimo. Come quello di Paolo Borsellino, così simile: “Questa terra diventerà bellissima”. Bruttissima per loro è la mafia, per Paolo insopportabile “puzzo del compromesso”, per Peppino “una montagna di merda”. C’è un cammino da fare, però, che, certo, non è eterno, ha detto una volta Giovanni Falcone, perché la mafia è una maledizione che ha dentro la sua fine. Un percorso che tutti devono intraprendere. Sono quei  “Cento passi” che possono segnare la differenza.

A Cinisi, paesino siciliano schiacciato tra la roccia e il mare, nei pressi dell’aeroporto, dove decollava il traffico di droga, quel breve incedere separa la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti; storie di diversissimo genere, eppure della stessa Sicilia. Ragazzo intelligente che non accetta il silenzio opposto al suo sforzo di capire, nel 1968 Impastato si ribella come tanti giovani al padre. Ma il suo ha precisi legami e parentele. Per Peppino la ribellione diventa sfida allo statuto della mafia e ha un prezzo altissimo. Con “Radio Aut” che infrange il tabù dell’omertà e con l’arma del ridicolo che distrugge il clima riverenziale attorno alla mafia, Tano Badalamenti diventa “Tano Seduto” e Cinisi, dentro questa ironia durissima, è “Mafiopoli”, emblema di una criminalità organizzata sempre più sistema, con la sua fitta rete di alleanze a vari livelli e interessi. Impastato si presenta alle elezioni comunali, ma due giorni prima del voto, nella primavera del 1978, lo fanno saltare in aria sui binari della ferrovia con sei chili di tritolo. Peppino è un giovane di trent’anni che porta baffi, barba e capelli lunghi, un “ribelle” che il padre, mafioso, ha ripudiato. Volto shakespeariano e carattere donchisciottesco. Peppino si batteva contro Cosa Nostra e ne denunciava i traffici dai microfoni della radio libera “Aut” da lui fondata. L’assassinio coincide con il ritrovamento a Roma del corpo di Aldo Moro e viene rubricato come suicidio o atto terroristico. Solo venti anni dopo la Procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell’assassinio. 9 maggio 1978: tante domande senza risposta, silenzi e depistaggi, misteri, vita, morte si intrecciano drammaticamente con la storia più nera dell’Italia degli anni settanta, segnata dalle stragi e dal terrorismo.

Sono gli Anni di Piombo e l’Italia, sconvolta dalla violenza eversiva, ha paura: da 55 giorni il presidente della Dc è stato rapito dalle Brigate Rosse, il loro covo pare introvabile, si teme il peggio, si teme un colpo di Stato e i cittadini, i vertici dello Stato, le forze dell’ordine, hanno i nervi scoperti. Posti di blocco, pattugliamenti, perquisizioni domiciliari. C’è chi vede dappertutto i fantasmi con la stella a cinque punte. Il Tg 1 delle 13.30 del 9 maggio parla di un fallito attentato o di un probabile suicidio. Ecco, il suicidio, la tesi che allora, sembrava la più plausibile, forse perché “tranquillizzava” e metteva d’accordo tutti. Tutti, tranne la coraggiosa mamma del defunto, Felicia Bartolotta. Il regista Marco Tullio Giordana con il giornalista e uomo politico Claudio Fava – figlio del direttore de “I siciliani” Giuseppe Pippo Fava anche lui ucciso dalla mafia – nel 2000 racconta tutto questo con un film: “I cento passi”, che ridesta nel Paese la passione e l’indignazione per questa storia, facendo conoscere anche la figura eccezionale della madre di Peppino, Felicia, fragile e fortissima, una lama di cristallo conficcata nel cuore della mafia antica, morta il 7 dicembre 2004, a 88 anni: tiene alto come un vessillo la memoria del figlio e, durante il processo, punta il dito e lo sguardo contro il feroce boss Tano Badalamenti. Così dopo 24 anni, arriva la condanna all’ergastolo del capomafia che spazza definitivamente via i tentativi di depistaggio cominciati già la mattina di quel 9 maggio. Cento passi non sono stati percorsi invano.