Teramo, città capoluogo di una provincia che, in Abruzzo, da tempo soffre di un complesso di inferiorità rispetto all’asse Chieti-Pescara (città metropolitana di fatto che, con la prossima fusione di diversi grandi comuni – la Grande Pescara – verrà rafforzata) e al territorio aquilano.

Teramo, condannata, consapevolmente o dolosamente, ad un ruolo marginale, accentuato dagli eventi sismici degli ultimi anni, rispetto a tutta una serie di dinamiche territoriali di livello regionale e nazionale.

Teramo, la città dove si erigono “barricate”, quasi sempre solo mediatiche, a difesa di reali o presunte specificità culinarie o culturali, dimenticandosi di difendere, e valorizzare, tutti i pregi e i valori del territorio.

Teramo.

Già in altri miei interventi mi sono chiesto, e ho chiesto ai lettori: cosa vogliamo farne di questa città?

Una risposta, io, me la sono data, ma, da quel che sento, vedo e leggo, la domanda se la pongono in pochi, e soprattutto non sembra ispirare le azioni amministrative di enti e organismi istituzionali. E, senza domande, è difficile trovare risposte.

Quindi, ripeto: cosa vogliamo farne di questa città? Anzi, di questa provincia?

Come si coordineranno progetti come la “cittadella della cultura” (a proposito, stiamo ancora aspettando la necessaria condivisione con cittadini e portatori di interesse, del progetto e delle relative, eventuali, strategie territoriali); il nuovo studentato di Viale Crucioli, le opere previste dal bando delle periferie (recupero e la riqualificazione dell’area dell’ex stadio e di quella del piazzale antistante la Stazione ferroviaria, realizzazione  di una pista ciclopedonale che dal centro storico si ricolleghi a quella della Gammarana, ristrutturazione delle case ATER di Via Arno con la contestuale realizzazione di un sovrappasso in via Po); i nuovi complessi edilizi, commerciali, direzionali della Gammarana; le opere previste dal progetto MO.VE.TE. (ciclostazioni e tratti di piste ciclabili); le opere (tra l’altro indefinite) da finanziare con i fondi Junker-FEIS? Quali altre strategie, se esistono, e opere da realizzare ha in mente l’amministrazione, e come si coordinano con i progetti di altri Enti (penso alla ciclabile Teramo-Giulianova, il cui studio di fattibilità è stato consegnato mesi orsono al Comune)? Quale destino avranno progetti come la riqualificazione degli edifici di via Longo? La mobilità urbana ed extraurbana è stata pensata in funzione delle nuove realizzazioni e delle mutate esigenze di spostamento? Esiste un piano urbano della mobilità coordinato con la strumentazione urbanistica? Il piano regolatore generale è adeguato alle nuove esigenze cittadine? Conosciamo l’entità del patrimonio pubblico abbandonato o sottoutilizzato e sappiamo cosa vogliamo, e possiamo, fare per riutilizzarlo?

La lista potrebbe essere ancora più lunga e, in un territorio interessato da una, lenta, ricostruzione posta sisma, ogni progetto o strategia non può non tenere conto anche del recupero dell’esistente e della sicurezza di edifici pubblici e privati e degli spazi urbani.

Teramo è una città che ha bisogno, da subito, di una strategia, prima ancora che di progetti. Di una strategia che metta a sistema le progettualità esistenti, seguendo un’idea, una visione, che deve essere necessariamente concepita, e condivisa, con i cittadini, con gli operatori economici, con tutti i portatori di interesse.

Esiste questa strategia?

Per favore, qualcuno mi dica di si, e la faccia conoscere, subito. Se invece, come temo, non solo non esiste, ma nessuno si è posto il problema della sua assenza, allora siamo messi male… molto male.

P.S. Torno a chiedere all’Amministrazione, da cittadino, l’istituzione di un Urban Center, luogo deputato alla condivisione, discussione, elaborazione, di idee e progetti per e con la città. Da domani, settimanalmente, tornerò a chiederlo anche come Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. La ricostruzione parte anche, forse soprattutto, da qui.

di Raffaele Di Marcello