Teramo, e i teramani, non sembrano avere un buon rapporto con l’arte contemporanea e, a dire la verità, con l’arte in generale.
Certo è che la negazione, da parte dei movimenti artistici degli ultimi decenni, di ogni forma di espressione che abbia come diretto riferimento l’esperienza sensibile, spesso non è compresa da chi è abituato al figurativismo dei busti, dei ritratti, delle visioni panoramiche, ma è anche vero che, negli ultimi decenni, poco è stato fatto per educare i teramani all’arte.
Fallito il tentativo di Exempla2 che, 2002, portò a Teramo opere di artisti internazionali quali Anselmo, Bassiri, Esposito, Fabro, Icaro, Kounellis, Mattiacci, Messina, Mochetti, Nagasawa, Pistoletto, Ranaldi e Spagnulo. Opere collocate in spazi pubblici, e in alcuni casi concepite dagli artisti in stretta relazione con i luoghi in cui erano state situate con l’intenzione di un dialogo tra l’arte contemporanea e i segni storici già presenti nella città.
Intenzione non colta dalla città che, al termine dell’iniziativa, ha sballottato le poche opere rimaste a Teramo spostandole da un luogo all’altro (perdendo, così, l’originario rapporto tra manufatto e collocazione). Pensiamo a “Senza titolo” di V. Messina ubicata nella Piazzetta del Sole, “Gran sassi” di P. Icaro, spostata nei pressi rotonda spartitraffico dell’uscita del lotto zero, verso Montorio, e ad una parte dell’installazione“Meteoriti” (originariamente composta da due elementi, poi ridotti ad uno) di B. Bassiri in Piazza Sant’Agostino, o al cosidetto “cubo”, “Naos”, di D. Esposito, che dal laghetto della villa comunale ha trovato una, si spera, definitiva installazione presso l’Università di Teramo.
Ma anche altre opere, forse più “comprensibili”, quali la statua bronzea di San Michele Arcangelo di Venanzo Crocetti; la reincarnazione dell’Universo (meglio conosciuta come la “palla”) e la statua di Garibaldi di Silvio Mastrodascio, non hanno avuto sorte migliore, trovando discussa collocazione in alcune delle rotonde stradali cittadine, senza una reale riflessione sul “perchè” del posizionamento (la “palla”, tra l’altro, ha metaforicamente rimbalzato tra Villa comunale, Piazza Garibaldi e attuale collocazione, quasi avesse vita propria), mentre i busti di personaggi importanti per la teramanità, e non solo, collocati nei giardini di Viale Mazzini grazie all’allora Banca di Teramo, sono spesso assediati da bancarelle varie e quasi ignorati dai cittadini.
Anche l’ARCA, il museo dell’arte moderna di Piazza S.Matteo, è diventato un contenitore desolatamente vuoto, dove diventa difficile anche allestire mostre temporanee, mancando qualsiasi attrezzatura per il posizionamento di opere e installazioni.
Eppure l’uomo, per sua natura, ha bisogno d’arte; di opere che caratterizzino, e arricchiscano, i nostri luoghi, i nostri spazi, le piazze, le rotatorie, gli angoli degli edifici pubblici e delle città. Opere che per la loro evocatività diventino un patrimonio comune e identifichino un territorio, vasto o piccolo che sia.
Bisogno riconosciuto anche da una legge, la n. 717 del 29/07/1949, poi aggiornata nelle sue linee guida dal D.M. 15/05/2017, che obbliga espressamente che lo Stato, le regioni, le province, i comuni e tutti gli altri enti pubblici che provvedano all’esecuzione di “nuove costruzioni di edifici pubblici” e alla “ricostruzione di edifici pubblici, distrutti per cause di guerra” a destinare una quota variabile tra il 2% e lo 0,5% della spesa totale prevista nel progetto per la realizzazione di opere d’arte da inserire nell’ambito dell’edificio.
Da tale obbligo sono esclusi i progetti di importo inferiore a un milione di euro, a prescindere dalla destinazione dell’immobile, nonché gli edifici industriali, le scuole, le università, gli ospedali e gli edifici destinati all’edilizia residenziale civile e militare.
C’è da chiedersi se, nelle opere pubbliche progettate negli ultimi decenni sia stato previsto il fondo per le opere d’arte e siano stati banditi i relativi concorsi.
Ma, al di là della legge, sarebbe opportuno dare sempre spazio all’arte, prevedendolo espressamente nei progetti, anche nell’ambito della ricostruzione pubblica post terremoto e nella realizzazione di scuole, ospedali, università, piazze e luoghi pubblici.
Prendiamo, per esempio, la pensilina di Largo San Matteo, realizzata nell’ambito del progetto di riqualificazione di Corso San Giorgio. Opera da molti criticata ma con un suo senso architettonico che acquisterebbe maggior valore se arricchita da elementi scultorei, come, tra l’altro, previsto già negli elaborati progettuali presentati dal progettista (vedi immagine).
Lo stesso corso, dove per ora mancano anche gli arredi urbani previsti dal progetto originario, potrebbe diventare una galleria d’arte all’aria aperta.
Oppure pensiamo alle tante “piazze” cittadine, di Teramo e degli altri comuni della provincia, spesso ridotte a semplici parcheggi, privi di ogni elemento di pregio o di attrazione; una o più opere d’arte potrebbero cambiare il senso di aree ora marginalizzate nell’uso e nella funzione.
L’Università di Teramo, pur non essendo obbligata a prevedere opere d’arte, ha ideato il Contemporary Sculptures Garden dell’Università degli studi di Teramo, a Coste Sant’Agostino ed ospita numerose opere d’arte sia all’esterno che all’interno degli edifici delle varie facoltà, supplendo, in parte, alle carenze del resto della città.
Ma l’arte deve essere pervasiva, e non bastano un parco a tema o una statua importante, occorre far diventare tutta la città un museo, coinvolgendo artisti e cittadini, scuole e università.
Il recente dibattito sull’installazione di Goldrake a piazza Garibaldi sembra aver riacceso, nei teramani, qualche barlume di interesse in qualcosa di “diverso” dal grigiore del vivere quotidiano, trasformandosi, però, non tanto in un dibattito culturale sulla necessità di arricchire Teramo di elementi, non solo architettonici, che riqualifichino centro storico e periferie, ma in una contrapposizione tra favorevoli e contrari, spesso con toni accesi, come spesso accade, sui social network.
Basterà “Ufo Robot” a ridare una scossa all’interesse dei teramani per l’arte? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

di Raffaele Di Marcello