In una città, come Teramo, dove la ricostruzione post sisma che stenta a decollare e la paventata chiusura del traforo del Gran Sasso, insieme ad un’atavica “arretratezza” culturale-amministrativa, fa rischiare l’isolamento fisico e sociale di un’intero territorio, la querelle sul destino dei gatti ospitati negli edifici del complesso ex manicomiale diventa ulteriore spunto di riflessione.

Infatti del recupero dell’importante porzione di centro storico, occupata dalla struttura dell’ex ospedale psichiatrico San Antonio Abate, si parla quasi esclusivamente per la questione della colonia felina. In una città dove anche il “museo del gatto” ha avuto vita breve (i locali che lo ospitavano sono stati messi, senza grande successo, in vendita), il destino dei felini sembra appassionare, a torto o a ragione, i teramani, facendo dimenticare il progetto di recupero e riqualificazione dell’ex manicomio, progetto nato da un concorso di idee bandito dall’Università di Teramo ed affidato ad un consorzio di validi progettisti, di cui fanno parte anche tecnici locali.

Progetto che, vuoi la sua formulazione estiva (i termini di presentazione furono fissati ad agosto dello scorso anno), vuoi la fretta dettata dai finanziamenti del masterplan, non sembra aver avuto la necessaria condivisione con la città, al pari di altre opere altrettanto importanti, ma sicuramente meno di impatto, quali, ad esempio, il recupero del Teatro Romano.

Per quest’ultimo, dopo vent’anni e più di incontri, riunioni, assemblee, appelli, ecc., ecc., ecc., al profilarsi della formulazione della progettazione esecutiva, è stata richiesta, a gran voce, una ulteriore fase di partecipazione popolare, tramite referendum e sondaggi deliberativi.

Per l’ex manicomio, invece, tutto sembra tacere. Eppure il progetto viene fuori proprio da quella Università che si propone come culla della democrazia partecipativa, organizzando incontri, convegni, sperimentazione e pubblicando testi e saggi sulla materia.

Quale migliore occasione, quindi, poteva esserci, di quella di applicare le innumerevoli esperienze, accademiche e non, accumulate in questi anni, trasfondendole nelle procedure di recupero e rifunzionalizzazione dell’ex manicomio?

Invece, a parte qualche iniziativa che il Comune di Teramo (tra l’altro non coinvolto nella fase progettuale) ha preso, e prenderà nei prossimi giorni, sembra che la progettazione, e la realizzazione, della “cittadella della cultura”, andrà avanti senza quel necessario dialogo con i “portatori di interesse” che, magari, sulla riqualificazione di una parte importante di centro storico, avrebbero voluto, e potuto, dire la loro, sia in fase pre-progettuale (fase dove la democrazia partecipativa fornisce il suo apporto migliore, dando, e acquisendo, conoscenze, attraverso un virtuoso rapporto tra cittadini, amministratori e tecnici) che nelle fasi successive.

Sembrerebbe, quindi, che dalle parti di Colleparco, tra il dire, l’insegnare, e il fare, ci sia di mezzo il solito mare fatto di scadenze da rispettare, procedure burocratiche, pragmatismo spiccio e impedimenti vari, spesso tirati in ballo dalle amministrazioni che, della democrazia partecipativa, poco vogliono sentire parlare, e stigmatizzati, quasi sempre a ragione, dai fautori della partecipazione popolare alle scelte amministrative.

Di tutto questo, però, i cittadini teramani, poco si preoccupano ed appassionano. Il miagolio dei gatti che si aggirano tra le antiche mura dell’ex manicomio fa più rumore di una città che si trasforma senza un disegno ben preciso, con opere in progetto (ricordiamo quelle previste dal bando delle periferie; il recupero delle palazzine di via Longo; gli interventi della Gammarana e della stazione ferroviaria; oltre a molte altre) che potrebbero decidere del futuro prossimo di Teramo e della sua provincia.

Nel 1918 Guido Garbini, Direttore dell’Ospedale psichiatrico ancora in piena attività, scriveva: «Poiché è mia convinzione che l’Ospedale Psichiatrico debba avere all’infuori della funzione curativa anche funzione educativa, faccio voti che in tempi non lontani le pubbliche amministrazioni della Provincia di Teramo si persuadano che la questione manicomiale è questione sociale di alta importanza. La società non deve guardare il nostro Manicomio e gli alienati con dispregio, ma deve mirare ad un fine più nobile e più alto: non quello del ricovero e della sicurezza, ma quello sociale ed umanitario». Il senso di tali parole, pur se attualizzato, è ancora vivo. Speriamo ci sia qualcuno che abbia voglia di coglierlo.