Dopo il passaggio fuori concorso a Venezia 79,  da oggi  è in sala “IN VIAGGIO” di Gianfranco Rosi. Un’opera in un certo senso work in progress che il regista, Leone d’oro nel 2013 con SACRO GRA e Orso d’oro nel 2016 per FUOCOAMMARE, ha continuato ad aggiornare fino all’ultimo. Un regista illuminato, Gianfranco Rosi  che il 4 ottobre – giorno in cui si celebra san Francesco –  lancia in sala il nuovo docufilm In viaggio  prodotto da Rai Cinema. E’ un film documentario che racconta nove anni di pontificato di Bergoglio attraverso 37 viaggi, dal Brasile a Cuba, dagli Stati Uniti all’Africa, fino al sud est asiatico, visitando 59 paesi. Nell’opera, immagini di repertorio, immagini del cinema di Rosi e ancora immagini di attualità e storia più recente. E poi ovviamente nel film i discorsi del Papa su poveri, natura, migrazione, dignita’ , guerra e pedofilia nella Chiesa.

Quello che più colpisce, oltre alle parole, sono i silenzi. Tra i ricordi piu’ belli quelli del viaggio in Canada nel quale il pontefice ha chiesto pubblicamente scusa per quello che avevano fatto i missionari ai nativi. Allora parlò addirittura di ‘olocausto culturale’ dicendo: ‘Il papa chiede scusa in nome della Chiesa e anche personalmente’. Ma da quanto ho potuto capire sono molti quelli che non l’hanno mai perdonato. Quello che mi ha colpito del Papa è la sua capacita’ di esprimersi a vari livelli, con i giornalisti, con la gente per strada, con altre autorita’ religiose. È un Papa che parla ai credenti e non credenti. Nel 2013, appena eletto, papa Francesco va a Lampedusa. Nel 2021 compie un importante viaggio in Iraq e Kurdistan. Gli stessi luoghi che Gianfranco Rosi ha raccontato in Fuocoammare e Notturno. Resta nel cuore lo spirito evangelico portato dal Papa, che sia tra le favelas di Rio nel 2013, al Senato Usa e fra le strade esultati di Cuba o in una moschea nella Repubblica Centrafricana nel 2015, fra i carcerati messicani nel 2016 o in Armenia, Israele, Emirati Arabi, Madagascar, Giappone e Canada. Si intrecciano le immagini dei telegiornali ed alcune girate dallo stesso Rosi che è riuscito a filmare il Papa nell’intimità della preghiera, nella Grotta di San Paolo a Rabat a Malta, sono attimi potenti nella penombra accompagnati dalla accorata invocazione: “Signore fermaci!”.

È come il respiro del Vangelo. Gesù si apparta per pregare, riprende il fiato, riordina i pensieri, pensa ai suoi fratelli e alle sue sorelle e si mette in ascolto del Padre. Poi il mondo fracassone e pasticcione, tragico e disperato, torna a far sentire i propri lamenti. Il popolo si accosta, lo chiama, lo invoca e le folle si fanno più pressanti. Gesù allora sorride e, grazie al fiato che ha raccolto con la preghiera, può tornare a rivolgersi a tutti coloro che chiedono una Sua parola e il Suo aiuto. Il respiro del Vangelo ha un suo ritmo sacro e indispensabile. È la fonte della nostra speranza. Gianfranco Rosi, con “In viaggio”, negli improvvisi silenzi del Papa ritrova quello stesso respiro e lo racconta con lo sguardo dell’umanità dolente che cerca di volgere gli occhi al cielo. Nonostante il repertorio usato da Rosi sia noto, per lo spettatore ha la stessa freschezza di un materiale inedito. Rosi ha accuratamente scelto i ritagli (i fegatelli li chiamava Fellini) che nessun altro avrebbe voluto. Nel suo film il Papa infatti spesso tace. È la vera svolta copernicana delle tante agiografie televisive e cinematografiche che hanno caratterizzato i primi nove anni del pontificato di Papa Francesco. I mass media e i new media non riescono a fare a meno di star egocentriche e ciarliere. Ma il Papa non è così. Rosi ha avuto il dono di capirlo e il coraggio per raccontarlo. Le prime immagini del film alternano il volto del Papa, immobile e silenzioso, con quelle della terra (come se fosse capovolta) ripresa dalla stazione spaziale internazionale. Fuori sincrono la voce del Papa invita l’umanità a credere di più nella capacità di fare del bene che il Padre ha donato a ciascuno di noi. Sono solo i primi attimi del film, ma sono sufficienti per scrivere un libro.

Il silenzio del Papa è il tempo della preghiera al Padre. La terra capovolta che incombe appena fuori dagli oblò della stazione spaziale è la metafora schiacciante di un peso insopportabile (la nostra umanità zoppicante) e, nello stesso tempo, è anche l’ostacolo che ci impedisce di volgere lo sguardo al cielo (l’inquadratura occupa tutto lo schermo). La preghiera e l’umanità. Il respiro del Vangelo. Questo ritmo sacro caratterizza tutto il racconto di Rosi. Il Papa parla con schiettezza, come è abituato a fare. Chiede scusa per aver detto di voler aspettare le prove della colpevolezza del vescovo Barros e chiede perdono per la strage delle ragazze native nelle scuole cattoliche del Canada. Dice anche che la globalizzazione dell’indifferenza ci impedisce di piangere per le vittime del Mediterraneo o che tutte le guerre, nessuna esclusa, hanno una sola motivazione, i soldi. Nel film di Rosi però, alla fine, il Papa più spesso tace. Quando incontra i musulmani, gli ebrei o gli ortodossi. Quando con la papamobile attraversa città osannanti di folla commossa o strade che invece sono state desertificate dalla politica e dalla violenza. La sua mano si alza sempre a benedire: le lacrime dei molti o le assenze degli altri. Il percorso di Rosi è ispirato. È difficile realizzare un film di montaggio. Di fronte al repertorio sterminato si ha sempre l’impellenza di aggiungere, mai di togliere. Dicono dallo staff della produzione che il regista abbia fatto e disfatto mille volte.