Ci si lamenta perché i giovani restano insensibili o quantomeno indifferenti al richiamo sul senso di responsabilità che dovrebbero avere per evitare che il contagio da covid si propaghi.

Occorre però chiedersi: cosa è stato escogitato per contrastare questa indifferenza? Raccomandazioni che spesso gli adolescenti hanno rispedito al mittente perché convinti di non essere loro i destinatari del contagio, grazie al sistema immunitario di cui dispongono, quindi in virtù delle difese organiche che i giovani posseggono, in grado dunque di respingere gli attacchi del coronavirus.

C’è poco da fare! Sarà eticamente riprovevole, ma cercare di contenere le esuberanze dei ragazzi nei tempi brevi può per un po’ funzionare, ma adesso stiamo arrivando a “celebrare” l’anno, prevale il meccanismo mentale del: “chissenefrega, tanto è una faccenda che colpisce gli ultraottantenni!”.

Insomma, da quando ha fatto la sua comparsa il covid.19, la “musica” sulla esortazione a comportamenti più morigerati che i teenagers dovrebbero tenere, ha fatto realisticamente, pochi passi in avanti!

Allora forse è il caso che i ragazzi percepiscano questo virus come qualcosa che sia centrale nell’insegnamento e quindi nel colloquio che il docente intrattiene con la classe.

Vi ricordate il famoso vasetto di vetro che un professore di filosofia estrae da un cassetto della cattedra e mostra alla classe suscitando curiosità e generando una riduzione del brusìo all’istante perché la curiosità è tanta?

Allora immaginiamo tanti professori e tante professoresse e pazienza se non insegnano filosofia e figuriamoceli intenti a mostrare questo “famigerato” vasetto!

Quale sarà la prima domanda (un po’ sciocca!) che il professore rivolgerà alla classe?

“questo oggetto che vi mostro, cosa rappresenta?” “Un vasetto di vetro!” è la risposta, ma il professore non è così stolto da non sapere la insipienza della domanda: la tattica è quella di creare curiosità e quindi di ottenere silenzio.

A questo punto il professore, soddisfatto della calma ottenuta, estrae da un cassetto cinque palline simili a quelle con cui si gioca a tennis e le introduce nel vasetto: quindi lo chiude, dopo essersi sincerato che le palline abbiano occupato l’intero spazio raggiungendo l’orlo. Quindi domanda successiva è scontata: “Com’è adesso il vasetto?” la risposta all’unisono è “Il vasetto ora è pieno!”. Il professore rimane compiaciuto di una risposta che non avrebbe potuto essere diversa, ma vuole ancora tenere alta la curiosità e, aprendo un cassetto della sua scrivania, estrae del brecciolino che fa scorrere all’interno del vasetto, lasciando scivolare quella ghiaia che va a posizionarsi tra una pallina e l’altra e così via fino a raggiungere l’orlo: quindi il tappo viene nuovamente richiuso. La domanda del professore è: “Ora il vasetto com’è?” Gli studenti, divertiti, ma anche desiderosi di sapere dove il professore vuole portarli, rispondono: “Il vasetto è pieno, molto più di prima!” Il professore però vuole ancora tenere desta l’attenzione e da un altro cassetto della stessa sua scrivania, riempie una propria mano di sabbia di mare e, aperto il tappo del vasetto, fa scivolare quei granelli tra le palline da tennis e la ghiaia ed anche la sabbia trova lo spazio per posizionarsi.

A questo punto il vasetto di vetro è davvero colmo, al punto che non vi è modo di scorgere neppure un “micro spazio” vuoto nel vasetto. La domanda del professore è sempre la stessa, uguale a quella ormai posta nelle due volte precedenti: “Com’è adesso il vasetto?” Gli studenti cominciano a spazientirsi, ma non perdono l’attenzione di fronte ai quesiti che vengono loro posti è rispondono in coro: “il vasetto è pieno, anzi pienissimo: non è stato mai tanto pieno come adesso”.

Il professore non si scompone ed estrae, da un altro cassetto , una bottiglietta di birra, la stappa e versa quel liquido all’interno del vasetto, suscitando lo sgomento dei ragazzi che quella birra avrebbero voluto bersela: la birra inzuppa la sabbia, bagna la ghiaia e le palline da tennis ed anche quel liquido ha modo di collocarsi all’interno del vasetto senza difficoltà per la chiusura del tappo, una volta l’ultima goccia è stata versata.

I ragazzi sono ormai al limite della loro sopportazione e pretendono di sapere dal professore, quale lezione quale scopo vuole raggiungere.

Il docente accoglie quella smania di curiosità, ma senza scomporsi, esordisce in questo modo: “Vedete ragazzi: il vasetto di vetro che vi ho fatto vedere è la vostra vita: la vita che state vivendo in questo tempo di coronavirus. Certamente avreste potuto viverla con maggiore spensieratezza, ve la sareste potuta godere con qualche andata in pizzeria in più o invadendo piazze e vie per consumare aperitivi e fare la movida: questo stile di vita non si addice al momento che stiamo vivendo.

Un modo di concepire la vostra vita di questi giorni con continue trasgressioni e indifferenze rispetto alle normative che stabiliscono che la mascherina va indossata, il distanziamento va osservato e le mani fanno disinfettate, somiglia terribilmente alla sabbia, cioè al voler continuare a vivere ostinatamente inseguendo quella “normalità” che abbiamo abbandonato a febbraio del 2020, quando nulla sapevamo di questo virus che stava dilagando e delle tragiche conseguenze di cui, oggi, siamo tutti al corrente.

C’è un’altra disattenzione che è difficile trascurare e che io farei corrispondere alla ghiaia, al brecciolino. Mi riferisco ad un consumo smodato ed irrefrenabile dei social, uno stare per ore ed ore attaccati allo smartphone, inviando chat ed esagerando nella virtualità, che poi facilmente degenera in percorsi persino autolesionistici come quel tik tok che invita ogni visitatore a mettere a dura prova la propria capacità di superare delle sfide, la cui frequentazione è pericolosa e quindi tassativamente da evitare, perché voi non possedete una consapevolezza di quali siano i limiti da non oltrepassare ed allora finireste per farvi del male, fino a mettere a rischio la stessa vostra vita, per colpa di irresponsabili e perfidi soggetti che approfittano di questo momento precario che vi rende fragili e così condurvi a delle estreme tragiche conseguenze.

L’ultimo oggetto da analizzare sono le palline da tennis, cioè la prima cosa introdotta nel vasetto. Quelle palline stanno a ricordarvi il tempo che stiamo vivendo, questo terribile ma “istruttivo” periodo del coronavirus. Certamente avremmo potuto trascorrere questi mesi in modo più spensierato e di godimento, ma c’è una particolare facoltà mentale che si chiama “resilienza” che significa saper trarre insegnamento dalle criticità e trasformarle in opportunità.

Vi ricordate l’insegnamento che ci ha lasciato Liliana Segre? Rammentate quelle tragiche pagine attraverso le quali ci ha illustrato “la marcia della morte” con cui esponeva la drammaticità di cinquantamila persone ridotte allo stremo?

Certamente non avete dimenticato quell’ agghiacciante racconto in cui veniva descritta la costrizione a camminare a piedi nudi in mezzo alla neve: larve umane che si trascinavano ai limiti della sopportazione, eppure “pazzamente” attaccate alla vita, al punto da non demordere, da non arretrare perché sarebbero state vittime dei loro aguzzini.

Bè, possiamo senz’altro dire che la vita che in quest’ anno che tra poco sarà compiuto, non è neppure lontanamente paragonabile a quella tragedia umana che ricordiamo con il nome terribile di “olocausto”. Eppure una terribile negatività ha fatto sbocciare una stupenda positività, se ancora oggi delle persone sopravvissute allo sterminio nazista hanno la possibilità di esortarci a non “abbassare la guardia” perché il mostro della persecuzione per ragioni razziali può tornare ad aggredire e seminare morte.

Lo stesso non abbassamento della guardia deve allora riguardarci oggi.

Intendo ripetervi, perché siate voi per prima ad approfittare di questa drammatica lezione che questi mesi state apprendendo e che nessuno meglio di una vita vissuta tra rinunce ed alcune privazioni può insegnarvi. A me il compito di ravvivarvi la consapevolezza e, siatene convinti! Se sapreste cogliere il senso dei limiti che questa storia di vita ci sta tramettendo, avrete fatto una esperienza tale da poterla poi raccontare ai vostri figli ed ai vostri nipoti, una volta che questa pandemia rimarrà solo un brutto ricordo!”

I ragazzi abbassarono lo sguardo e rimasero ammutoliti per aver appreso una lezione di vita che non avrebbero dimenticato, vivendola da protagonisti “da palline da tennis” e trascurando ogni tentativo di essere “ghiaia” oppure “sabbia”.

Il silenzio davvero incredibile fu rotto solo da uno dei ragazzi che volle un po’ sdrammatizzare l’atmosfera e chiese: “Ho capito tutto e non c’è davvero nulla da prendere per scherzo…ma c’è una bottiglietta di birra di mezzo che non mi è stata spiegata!”

Il professore, a questo punto sorrise e disse a quel ragazzo ed alla classe intera: “Un premio per un comportamento così corretto e responsabile va comunque assicurato: un bicchiere di birra, anche se in compagnia di un solo amico, va concesso!” .

Una lezione davvero che rimarrà scolpita nell’animo dei ragazzi.

Ernesto Albanello