Se in questo inedito 25 aprile 2021 mancheranno le piazze, di certo non mancherà il suono della libertà. Parlare, oggi, del 25 aprile sembra decisamente controcorrente. Anno dopo anno, si va assottigliando l’interesse, soprattutto perché il contesto che ci circonda risulta sempre più indifferente ed estraneo allo spirito che consentì la passione, e l’esperienza della Resistenza prima, e successivamente la ricostruzione del Paese distrutto, e della vita democratica. Non dico questo per le inutili polemiche, le sterili divisioni, ne perché penosi negazionisti – che radunano le loro truppe al gran completo in una panda –  annunciano letture di libri di cui immagino il valore letterario e storico, per non lasciare dubbi sulla loro gretta ignoranza. Ma piuttosto per lo spirito di “par condicio” che aleggia, profondamente introiettato nell’opinione comune, quasi a non volere fare torto a nessuno. Con il risultato di collocare tutte le parti in lotta sullo stesso piano. Un errore storico madornale averlo consentito. La presunta equidistanza, che traduce gli eventi terribili del 1943-45 nel ripartire il terrore da una parte, e dall’altra, è la negazione di quella disparità di valori che fu nella convinzione di coloro che salirono in montagna o affrontarono la guerriglia in ambito urbano. Viceversa, fare la storia a tutto campo, facendosi carico anche delle ragioni dell’altra parte, non vuole dire appiattire i ruoli e mettere tutti allo stesso livello. Misconoscendo la differenza tra chi ha combattuto per la libertà, e chi ha sostenuto fino alla fine la brutalità della dittatura e dell’oppressione. Non c’è nessuna par condicio tra chi lottò per il futuro democratico del nostro Paese , e chi stava con i nazisti. L’anestesia del linguaggio non è che l’espressione in superficie dell’anestesia della memoria. Il problema rimane particolarmente acuto per un paese come l’Italia uscito dall’esperienza del fascismo le cui tracce riaffiorano ancora e non solo nel costume. Trasmettere alle generazioni più giovani la memoria della Resistenza non è più e non soltanto un problema di carattere storico, di trasmissione della conoscenza di un momento spartiacque nello sviluppo di questo paese, ma un problema di educazione civica nel senso più alto. Questo vorrebbe dire riacquisire alla cultura politica delle nuove generazioni un insieme di valori che la frammentazione della politica, e la scomparsa di una cultura impegnata, rischiano di rendere obsoleti. Il 25 aprile deve allora rappresentare una svolta, una presa di coscienza, una memoria che si fa motore di speranza e cambiamento.

Democrazia e Costituzione non sono valori che valgono da soli.  Ci vuole un’azione coerente, giorno per giorno, perché si affermi una cultura dei diritti, del lavoro, della solidarietà e della giustizia sociale.  Il processo di liberazione in Italia non è terminato. In questo 25 aprile, è la memoria che dobbiamo, più che mai, trasformare in impegno, in memoria viva e operativa. La libertà che ci ha consegnato la Resistenza – la libertà della Costituzione e della Democrazia – è infatti, innanzitutto, una responsabilità. Responsabilità di costruire il bene comune, di garantire a tutti casa, lavoro vero, istruzione e cure: diritti fondamentali e premesse di una vita libera e dignitosa. Ma della libertà che ci ha consegnato la Resistenza troppi hanno fatto un uso egoista se non criminale, come dimostrano le ingiustizie e le disuguaglianze che emergono più che mai oggi con l’emergenza sanitaria.

Il 25 aprile deve allora rappresentare una svolta, una presa di coscienza, una memoria che si fa motore di speranza e cambiamento. Che si fa impegno comune per costruire un Nuovo Umanesimo, un nuovo “paradigma dell’umano”.

Per dire “basta!” alle ingiustizie, alle guerre, alla devastazione ambientale. Per dire sì all’appello di un cambiamento vero, non un semplice adattamento. Non c’è spazio per sentimenti di odio nel senso letterale del termine.

Un cambiamento per liberarci dalle mafie e dalla corruzione, dalla produzione e dal commercio di armi, da un’informazione asservita a poteri forti, industriali e non solo, che tace o deforma la realtà. Più in generale, un cambiamento per liberarci da un sistema economico selettivo e ingiusto, che arricchisce pochi a spese di tutti gli altri, alimentando la povertà, la disoccupazione, la disperazione.

Pensiamo ai giovani in cerca di lavoro, agli anziani soli e abbandonati, al vergognoso Olocausto delle vittime dell’egoismo e dell’indifferenza di una parte della politica. Insomma un cambiamento che venga “dal basso” e da dentro.

Da un impegno umile, costante, condiviso. E da coscienze vive e inquiete: ribelli all’ingiustizia e alla menzogna.

Sia questo il nostro 25 aprile: non solo un atto ma un impegno per la libertà. La libertà è di tutti o non è libertà. E in Italia la libertà deve essere ancora in gran parte liberata!