TERAMO – Verecondia. Chi fa il giornalista dovrebbe immaginare che quando una donna invia una lettera firmata chiedendo l’anonimato nella pubblicazione, possa essere per riservatezza e timore, riconducibile ad un naturale senso del “pudore”. La vergogna nell’esporsi è un sentimento legittimo che oggi non si teme più ma se avesse letto meglio la mia lettera, avrebbe trovato la mia autorizzazione a pubblicare il mio nome qualora fosse servito a dare voce a chi il coraggio non sarebbe riuscito a trovarlo.

Ho letto le sue parole ruvide. La sua “orticaria”, il suo “desiderio di tirare le orecchie a chi non si espone”. Vede Nodari, i vili che la facciano non ce la mettono, spesso sono proprio le vittime di quelli che lei accusa, quelli con “papà protettore, grande e grosso e solitamente mascalzone, quei vermi celati sotto le gonne di qualcuno. Quelli che “se me lo dicevi prima, quelli che loro non c’entrano mai”. E la pelle si alza anche a me.

Vede Nodari, se io fossi stata una come dice lei, non sarei stata allontanata da mia madre provocandole ulteriore turbamento né sarei mai stata doppiamente tacciata.

Se lei avesse letto il certificato medico che ho allegato alla mia lettera e che ho mostrato al medico quando sono entrata per accompagnare mia madre, avrebbe provato vergogna a definire chi denuncia “vili che la faccia non ce la mettono mai; quei bastardi che parlano male di tutti e si nascondono nell’ombra”.

Se lei, Nodari, fosse andato alla fonte, avrebbe avuto notizia certa che quel giorno tutto ha funzionato bene ma una nota stonata al box A4 c’è stata. Il “solito uomo con il cappello” che poteva accogliere il disagio di una donna, anzi due, ma si è voltato urlando.

Perché leggere da un giornalista “Inutile dire che la versione è completamente diversa (…) che sia nel box di presa dei dati che –a maggior ragione – nel box di inoculazione del vaccino è giusto che ci sia un paziente per volta” quando tutti in quel momento sarebbero voluti sprofondare ascoltando le urla di un medico cacciare via dalla stanza una figlia che accompagna una madre con una sindrome documentata e firmata dalla Asl stessa, è una versione priva di vergogna e priva di umanità.

Le cose non cambiano tacendo. Credo nel sano senso del dovere, nella eguale dignità di ciascuno, nell’impegno che tutti siamo chiamati a spendere per un futuro migliore.

Credo si debba avere il coraggio di esporsi anche per dare voce a chi il coraggio non ce l’ha. Se vuole, Nodari, oltre alla firma ci metto anche la faccia.