Ricordare è un imperativo. È necessario far sì che il Giorno della Memoria non si riduca a una rievocazione del passato, ma ci interroghi anche sul presente e sulla realtà della società.  Il razzismo, che fu l’anticamera dei lager, resta ancora oggi un problema. L’Italia rischia di smarrire la strada della convivenza tra persone di fedi religiose, culture, tradizioni differenti. Auschwitz, nel 2023, può apparire lontano. Poche settimane fa è morto uno degli ultimi sopravvissuti  alla Shoah. Recentemente, aveva preso a raccontare in modo semplice la sua storia, per trasmetterla ai giovani, ai quali ripeteva le parole che il padre gli disse nel lager: «Non odiare mai». È un insegnamento da non disperdere. Come trasmettere alle nuove generazioni la memoria della Shoah, ora che anche gli ultimi testimoni scompaiono? E’ urgente ritrovare il filo di una società in cui tutti possano vivere insieme in modo pacifico. Politiche lungimiranti, buona informazione, coinvolgimento dei leader religiosi in una rete d’incontro e di dialogo, attenzione alle periferie, sono alcuni dei passi da compiere verso una società del convivere dove ci sia spazio per tutti. E’ il sogno che Papa Francesco affida al mondo : una cultura della convivenza nella pace, nel senso del bene comune universale e nel rispetto delle differenti identità.

Ha ragione Liliana Segre, il tempo può rendere il tutto opaco, sfilacciare la riflessione. Questa pietra, invece, silenziosa, ma assordante nella tragedia peggiore -quella di essere dimenticati- ci spinge a ricordare, a fare di questo Giorno della Memoria 2023 un momento alto di parola. La Shoah è lo sterminio di milioni di persone colpevoli di essere ebrei, omosessuali, testimoni di Geova, zingari, disabili, deportati civili. Ci porta ad un ricordo di ciò che è perfino indicibile nella sua enormità, ma che  rischia nella sua banalità del male di essere altre volte ripetuto per nuovi odi razziali, o di essere revisionata come si dice oggi, e perfino giustificato. All’ingresso del lager di Mauthausen c’è una targa che elenca, nazione per nazione, le vittime lì assassinate. I numeri impressionano.   Anche nei gulag staliniani è successa la medesima cosa, con l’aggiunta per molti di sentirsi colpevoli due volte: come traditori del comunismo e come salvati dalla morte. Dobbiamo evitare di credere che la Shoah sia uno scherzo della storia, o peggio considerarla storicamente più un fatto psichiatrico che un evento politico e culturale. Non è così. Verrebbe da dire, purtroppo.

L’antisemitismo, come tutte le forme razziste e totalitarie, ha permeato la civiltà occidentale e a periodi riemerge in forme sempre diverse, ma comuni negli istinti e negli effetti. Possiamo correre il rischio di crederlo un fatto endemico, quasi normale. Anzi, è spesso dalle barzellette e dalle ironie che si inizia. L’antisemitismo è una ferita storica della cultura europea e mondiale, della sub-cultura che fonda nella razza, nel mito del “sangue e terra”, dell’ “haimat”, la sub-ragione di una violenza senza limiti, del disprezzo indicibile, ci fa vergogna di chiamarsi umani. Ma è della nostra civiltà lo scontro continuo tra violenza e pace, l’incontro e lo scontro continuo tra popoli e differenze. La nostra civiltà è sempre ad un bivio. La convivenza e la tolleranza sono da conquistare ogni giorno. La Shoah è un evento che ha ridotto al rango di non persone, e al destino di fumo che usciva dai camini, milioni di cittadini ebrei con il solo delitto di essere tali. ’antisemitismo non nasce con il nazismo e il fascismo, viene da lontano. E, come tutti i teoremi delle razze e delle purezze delle razze, è sempre dietro l’angolo. Per questa ragione ribadiamo con forza che “Non c’è futuro senza memoria”. Non c’è futuro senza il respiro dei giovani, senza il nostro consapevole passaggio di testimone a loro del mondo che è stato, nei suoi splendori e nelle sue tragedie.