Arrivò a Teramo che aveva 23 anni. Come il portiere Francesco Paolo Calò, chiamato da tutti Paolo.

Giovanni Trapani, chiamato “Ninuzzu”, veniva da Palermo e dal Palermo. L’allenatore Giobatta Rebuffo gli affidò la maglia numero 4, davanti al trio difensivo delle meraviglie formato da Calò-Cellerino-Del Re. Il suo compito non era quello di costruire il gioco del Teramo, ma quello di distruggere il gioco degli avversari e “Ninuzzu” lo sapeva fare bene. Con queste referenze era arrivato ed erano piaciute al presidente Federico Cesaritti. Quanto a grinta, Trapani non era secondo a nessuno e lo si vide fin dalla sua prima partita nel campionato di Serie C Girone G della stagione 1939-40, sul terreno insidioso del Civitavecchia, in una partita diventata subito una battaglia, che non vide né vinti né vincitori e nemmeno una rete.

L’incontro finì 0-0 e gran parte del merito fu suo, perché sulla sua fascia il giocatore locale più forte, Isada, marcato da lui, praticamente non toccò palla. La squadra era forte, la difesa insuperabile e davanti c’era Lanciaprima che era imprendibile e segnava da Dio. I biancorossi accumularono una imbattibilità di 485 minuti, vincendo in casa contro l’Alba di Roma, per 2-0, a Pescara in trasferta per 1-0, poi di nuovo in casa battendo l’Aquila 1-0. Alla settima giornata, “Ninuzzu” Trapani diventò perfino goleador e segnò la seconda rete del Teramo contro il Dinasimaz Popoli, al 43’ del primo tempo e fu quella del 2-1. Che la palla calciata da lui fosse finita in porta, alle spalle del celebre portiere Ukmar, il più celebrato numero uno dei suoi tempi, non ci credeva nemmeno lui. Gli dispiacque assai che la sua rete non fosse stata quella della vittoria, perché nella ripresa una rete di Schiavi diede agli ospiti il pareggio per 2-2.
Trapani era una vera forza della natura e la sua grinta sul campo era incredibile. Il suo ghigno terribile, i suoi occhi neri mettevano paura solo a vederli. Alla fine del campionato collezionò 22 presenze, senza mai una sbavatura, senza mai un errore, sempre impeccabile.

Lui e Calò tornarono a Palermo e giocarono nel Palermo, ma le loro strade si divisero. Calò giocò molto più di lui nella squadra della sua città e “Ninuzzu” non brillò se non per motivi calcistici, al contrario di Paolo Calò, che diventò un noto esponente della mafia palermitana, trasmettendo poi il suo carisma a suo figlio Leonardo e a suo nipote Giuseppe, noto come Pippo, ma soprattutto come “cassiere di Cosa Nostra”, affiliato nella cosca mafiosa di Porta Nuova dal suo associato Tommaso Buscetta. Ma questa è un’altra storia, che racconteremo un’altra volta.