ATRI – Il presente e, soprattutto, il futuro dell’Ospedale di Atri, non possono essere ostaggio dei rinfacci politici. Semplicemente, perché non conducono a nulla, oltre ad essere uno sterile esercizio che richiamerebbe, all’infinito, le responsabilità di tutti i governi regionali che si sono succeduti nel corso delle legislature.

Non vi è campagna elettorale che non si consumi sulla pelle del San Liberatore e non vi è un governo regionale da cui non abbiamo dovuto difenderci. È pur vero, però, che onestà intellettuale e consapevolezza dovrebbero accompagnare sempre le dichiarazioni pubbliche, soprattutto quando provengono da amministratori, perché il metro del tempo non lo si può usare a proprio piacimento.

Se è vero che al governo del Pd si ascrive lo scippo del punto nascita, tra l’altro previsto già in un documento del 2010 ( Giunta Chiodi ), è altrettanto vero che non possiamo dimenticare la stagione, a guida centrodestra, del Direttore Generale Varrassi, dei suoi atti aziendali che tracciavano per il nostro nosocomio un futuro di lungodegenza, a cui anche politici locali strizzavano l’occhio. Atti da cui abbiamo dovuto difenderci a colpi di ricorsi, proteste di piazza, fiumi di mozioni e azioni eclatanti.

Le esperienze ci hanno insegnato che dobbiamo sempre giocare in difesa e che le grandi “battaglie” la città le ha vinte quando ha saputo fare squadra. Ultima, quella relativa al commissariato su cui nessuno può mettere il bollino, perché è stato proprio il concorso delle forze a determinarne l’esito.

Oggi, lo scenario che abbiamo davanti è, nel suo complesso, unico, per la straordinarietà dell’emergenza, ma per certi versi ripropone vecchi timori e preoccupazioni.

È sacrosanto e legittimo che forze politiche, sindacali, semplici cittadini si chiedano quale sia il destino del nostro ospedale. Altrettanto sacrosanto è chiedere partecipazione delle decisioni e delle scelte.

Dopo l’uragano che ci ha travolti, che ha travolto soprattutto gli operatori tutti, lentamente stiamo tornando alla normalità e i numeri relativi ai ricoveri, soprattutto quelli in terapia intensiva, sono quasi ridotti a zero.

È di pochi giorni fa l’inaugurazione dell’Ospedale Covid di Pescara, con attuali 32 posti letto che, a regime, saranno 181, di cui 40 di terapia intensiva. È stato definito lo “Spallanzani” d’Abruzzo, quindi, il centro di riferimento regionale in grado di rispondere al non augurabile eventuale fabbisogno.

Pertanto, mi chiedo e chiedo: c’è davvero bisogno di dedicare al Covid, e tra l’altro non se ne conoscono i particolari, sia in termini strutturali che di risorse umane, un padiglione del San Liberatore? Siamo certi che questa sia la strada giusta?

Quel che abbiamo oggi sotto gli occhi è un presidio schiacciato da e sul Covid e sono davvero preoccupanti i numeri di tutte le prestazioni rispetto a quelle che venivano erogate fino a pochi mesi fa. È innegabile, infatti, che, dati alla mano, le prestazioni erogate dal San Liberatore erano, per volume, seconde solo al nosocomio teramano, segno di un ospedale attivo e punto di riferimento di un’area molto estesa.

Con lo spirito propositivo di sempre, ricordo che ho avanzato una proposta alternativa, ignorata completamente dal Consiglio Comunale e dalle forze politiche tutte, proposta che discende da un interrogativo che si fa sempre più pressante: serve davvero un’area Covid ?

Pertanto, auspicando che il distacco emotivo dalle terribili settimane che abbiamo alle spalle aiuti tutti ad una riflessione più ampia, scevra da condizionamenti di parte, sarebbe opportuno si aprisse un tavolo di confronto con la partecipazione attiva di tutte le forze politiche, dei sindacati e dei comitati perché il San Liberatore è patrimonio di tutti!

Il Consigliere Comunale di Abruzzo Civico Atri

f.to Rag. Paolo Basilico