Nei giorni scorsi è comparso sulla stampa locale il testo di una mozione firmata da due consiglieri di minoranza sul bene primario della sicurezza urbana a Giulianova. In essa, fra varie premesse – fra cui una davvero singolare secondo la quale nella nostra Costituzione la sicurezza dei cittadini non sarebbe “un diritto sancito esplicitamente” –, si propone di approvare in Consiglio comunale una serie di misure e iniziative.

Sulla premessa sopra riportata, circa una presunta “dimenticanza” dei Costituenti del 1947 di sancire direttamente il diritto alla sicurezza dei cittadini preferisco sorvolare poiché se iniziassi ora ad elencare le parti in cui la nostra Costituzione sancisce direttamente e indirettamente questo diritto (ed anche i corrispettivi doveri dello Stato), probabilmente scriverei per un’ora. Mi auguro solo che chi ha scritto la mozione, per il futuro, abbia la pazienza di leggere la Costituzione. È scritta in italiano, ma da tutti Costituenti antifascisti. Forse il problema è proprio questo…

Nella mozione in argomento si propongono varie cose in linea con in D.L. 20 febbraio 2017 N. 14, convertito nella legge 18 aprile 2017 n. 48, recante: “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”. Qui per chiarezza mi corre l’obbligo di manifestare il mio dissenso profondo e la mia lontananza siderale da una scelta politica dell’allora Governo Gentiloni, erede di un altro precedente il cui Presidente era stato fautore aperto e indefesso dell’anti-costituzionalismo (rispuntato recentemente come propugnatore del semi-presidenzialismo con la trovata balzana del Sindaco d’Italia). Tale provvedimento, infatti, si muove contro il riconoscimento delle persone in quanto tali, molte delle quali restano invisibili fino a quando non intralciano il cammino dei flussi economici e turistici. Non lo penso solo io, ma in parte anche la Corte costituzionale: si veda la sentenza n. 115/2011. In realtà, nelle società neoliberiste in cui le politiche sociali e di sostegno alle povertà vengono totalmente abdicate in favore delle decisioni prese dall’alto, appunto, la repressione resta l’unica strada. Sulla scelta del nostro Sindaco di adottare il provvedimento in questione, tuttavia, non è mio compito intervenire. È una legittima scelta compiuta sulla scia di qualche altro centinaio di sindaci anche se in Italia vi sono oltre ottomila comuni, ma tant’è. Si potrebbe porre, semmai, un mio problema personale di coerenza come Presidente della Consulta per la democrazia partecipativa nominato dallo stesso Sindaco ma eventualmente ove si dovesse presentare, con questo problema non mancherò di fare i conti.

Detto questo, ritorno alla mozione. Fra le proposte in essa contenute, su alcune delle quali sorvolo perché meno impattanti, ve ne sono alcune di particolare gravità. Ad esempio, prevedere tavoli di lavoro permanenti tra le Forze dell’Ordine (FF.OO.), l’amministrazione comunale e i comitati di quartiere in sé sarebbe ottima cosa, ma quando si leggono le finalità necessariamente sorgono forti preoccupazioni. I cittadini dovrebbero riportare alla FFOO, infatti, “aggiornamenti” su “eventuali” pratiche delittuose. Di fronte a una “pratica delittuosa” vi sarebbero strumenti che avviano i procedimenti giudiziari come la querela e la denuncia, peraltro, non alle forze dell’ordine bensì alla Procura della Repubblica. Sulla “eventuale” pratica delittuosa, però, c’è un po’ da rabbrividire: i cittadini dovrebbero farsi portatori di sospetto presso le forze dell’ordine? Ma questo, evidentemente, oltre che a generare strani agenti informatori “popolari”, determinerebbe altresì un clima di terrore nei quartieri e una caccia al delatore senza precedenti. I cittadini, infatti, di fronte a “eventuali fattori di rischio…ed eventuali situazioni inusuali o sospette” cosa dovrebbero segnalare alle Forze dell’Ordine eventualità e sospetti? Come quello che citofona per sapere se dentro c’è uno spacciatore?

In altra parte della mozione si propone la costituzione di “comitati di controllo del vicinato che abbiano come principale scopo, non quello di sostituirsi alle forze dell’ordine nella gestione del territorio, ma quello di creare una rete di reciproca assistenza…”. Cosa sono? Da chi sono formati? Con quali limiti e con quale tipo di organizzazione? E cosa c’entrano i Comitati di Quartiere giuliesi? In quale parte della normativa statale essi sono previsti? In realtà, nella normativa di riferimento i c.d. “comitati di controllo di vicinato” non esistono e si citano i Comitati solo nell’articolo 7 comma 1/bis per fare riferimento ai Comitati di impresa per la messa in opera di sistemi di sorveglianza. Qui si vuole andare oltre una normativa statale già in sé restrittiva delle libertà individuali.

A me pare che i “Comitati di controllo” di cui alla mozione in esame siano inventati da un vento autoritario volto a intimorire, anziché favorire inclusione e dibattito nei quartieri. È evidente che i Comitati di Quartiere di Giulianova non c’entrino proprio nulla e subdolo appare il tentativo di trasformarli in bassi strumenti di delazione del sospetto. I Comitati di quartiere di Giulianova, infatti, sono eletti direttamente dai cittadini con l’unico obiettivo di promuovere la partecipazione degli abitanti del Quartiere nelle scelte politiche e amministrative che riguardano la vita associativa determinate dall’Amministrazione comunale; sono privi di poteri decisionali poiché l’organo che discute, partecipa e propone scelte all’Amministrazione comunale è l’Assemblea dei cittadini del Quartiere dai 16 anni in su.

I segnali dati da questa Amministrazione comunale sul piano della partecipazione, dell’inclusione e della dialettica sono positivi, e sono certo che in Consiglio comunale prevarranno i principi di democrazia di antifascismo e di inclusione che da sempre costituiscono l’ossatura tradizionale di questa Città. Le sirene dell’autoritarismo e le malattie da esse condotte incontreranno forti e possenti anticorpi – Carlo Di Marco