Oggi Teramo ricorda il suo patrono. Benedettino di nobili origini, scelse l’umiltà. Fu il padre dei poveri, protettore contro le malattie e i terremoti,  zelante  nel dissipare ogni forma di idolatria . Quando penso a lui mi ricorda proprio pari pari un altro Vescovo umile quanto simpatico, caritatevole quanto modesto, lontano dai riflettori quanto cristiano.

Oggi, 19 dicembre, la chiesa festeggia san Berardo patrono di Teramo.  Nacque a Pagliara di Isola del Gran Sasso d’Italia (Teramo) nell’XI secolo, dalla nobile famiglia dei Pagliara, nell’omonimo castello situato nei pressi di Isola del Gran Sasso. I Pagliara avevano il titolo di conti, ereditato, forse, dai più antichi conti dei Marsi, e dominavano nella Valle Siciliana, che abbracciava un vasto territorio sotto il Gran Sasso. Alcuni dati essenziali sulla sua vita, come la donazione dei beni personali alla Chiesa, l’inizio del mandato episcopale e la data della morte, si trovano documentate nel Cartulario della Chiesa Aprutina. Presso il castello di Pagliara esisteva il monastero benedettino del Santissimo Salvatore: di qui la vocazione benedettina di Berardo. Da Montecassino, dove aveva iniziato la vita monastica ed era divenuto sacerdote, Berardo, desideroso di maggiore raccoglimento, si ritirò nel celebre monastero di San Giovanni in Venere, in Abruzzo, del quale era stato abate un Odorisio, suo parente, elevato poi agli onori della porpora da Alessandro II. Alla fine del 1115, morto Uberto, vescovo di Teramo, in virtù della fama di santità che lo accompagnava, fu chiamato a succedergli come pastore della Chiesa aprutina. Fece il suo ingresso nella chiesa cattedrale di Santa Maria Maggiore e rivestì questo incarico per sette anni a partire dal 1116, indirizzando la propria attività al soccorso dei poveri e alla pacificazione dei contrasti esistenti tra le fazioni cittadine, riformatore zelante, oltre che principe feudale giusto e prudente. Dopo aver adempiuto al suo ufficio con singolare semplicità di animo, pietà e carità di pastore.

Nel corso della sua vita, San Berardo rimase sempre umile, disposto al sacrificio ed all’aiutare gli altri. Berardo è sempre identificato come un pastore della chiesa, pronto ad accogliere le pecore smarrite di fedeli che cercavano conforto attraverso la fede e la chiesa. Nel corso della sua nomina, San Berardo si dedicò nell’aiutare i poveri e coloro che non godevano di buona salute. Umile e caritatevole. Desideroso di vita austera e raccolta, amava  ritirarsi in solitudine. Però i suoi numerosissimi atti di carità, miracoli e guarigioni, le sue eccelse virtù e profezie lo resero così famoso, che, fu coniato questo epigramma: “monaco per scelta”. Instancabile missionario fu il padre dei poveri. Era identificato come un vero e proprio salvatore, e chiunque in sua compagnia si sentiva ristorato dal punto di vista emotivo e spirituale. In un paio di occasioni, il pronto intervento di San Berardo contribuì anche a far sfociare dissapori cittadini e rivolte da parte di paesani inferociti. San Berardo morì nell’anno 1122 e la sua morte fu un duro colpo per i cittadini e fedeli che lo avevano sempre considerato un vero e proprio punto di riferimento.

Il 19 dicembre a Teramo normalmente  si svolge una vera e propria celebrazione in onore del santo. Molti cittadini della città offrono un cero alla memoria di San Berardo. Inoltre, un coro scelto di cittadini volontari esegue in modo solenne ad alta voce l’Inno a San Berardo, melodia dedicata al patrono della città dell’Abruzzo.  Quest’anno è tutto  in covid time e non saprei dirvi. Insomma, in ultima analisi il 19 dicembre è comunque, realmente, un giorno di festa e gioia per la città di Teramo, un momento particolare per ricordare il Santo Patrono, un uomo tanto buono che ha sempre aiutato il prossimo. Le sue spoglie furono sepolte a Teramo , nell’antica Cattedrale, all’interno della cappella oggi intitolata a Sant’Anna , cappella che fu tra i pochissimi edifici risparmiati dall’incendio che nel 1156 distrusse la città ad opera, dell’esercito normanno . Attualmente il corpo di San Berardo è custodito nella tomba che si trova nell’altare della suddetta cappella . L’ultima ricognizione della tomba fu effettuata al tempo dell’episcopato di monsignor Micozzi. Fanno eccezione due sole parti del corpo del santo, custodite all’interno dei due reliquiari d’argento, il “braccio benedicente” (XVII secolo) e il busto (XVI secolo), conservati in una cassetta di sicurezza ed esposti al pubblico in occasione della festa del santo. Al santo sono attribuiti numerosi miracoli in relazione ai quali si è sviluppata tutta la sua iconografia. Una statua in pietra che lo raffigura e che un tempo sovrastava la cripta come signaculum del corpo ivi conservato, è ubicata sulla sommità della cappella dedicata al santo. All’interno della sacrestia raffigurano San Berardo la pala d’altare del pittore polacco Sebastiano Majeski (XVII secolo), dal titolo I miracoli di San Berardo, la tela del pittore Giuseppe Bonolis  raffigurante  la liberazione della città di Teramo dall’assedio del duca di Atri ad opera della Vergine Maria e di San Berardo e numerose altre raffigurazioni. Cospicua e varia è la raccolta di incisioni e stampe votive prodotte nel corso degli anni e ricostruibile sulla base della voce Berardo da Pagliara, redatta da Raffaele Aurini  nel 1973   che a tutt’oggi rappresenta il più completo corpus bibliografico ed iconografico esistente. Una statua in pietra che lo raffigura e che un tempo sovrastava la Cripta come signaculum del corpo ivi conservato, è ubicata sulla sommità della cappella dedicata al santo.  Come scrive la professoressa Alessandra Gasparroni – da cui copio – la richiesta di aiuto e le preghiere rivolte ai protettori, un tempo, cadenzavano la vita quotidiana della città, il senso di identità si concretizzava nella comune partecipazione agli eventi tragici o lieti attraverso le vie e le piazze; spesso si trattava di gesti o giaculatorie che esorcizzavano la paura di quello che sarebbe potuto accadere e che non poteva essere previsto. In una seconda edizione del “Responsorio” ad opera del musicista Nicola Dati, vissuto e morto a Teramo tra la metà del 1800 e gli inizi del ‘900, pur restando immutata la parte testuale, viene modificata la musica non più per organo ma con accompagnamento di archi che rendono l’atmosfera drammatica tramite duine di crome sempre più serrate (a mo’ di tremolo) e in crescendo sulla parola terremotus che viene reiterata parossisticamente fino a culminare nel fortissimo, dopo il quale si riacquista un significativo stato di quiete, ottenuto con dei suoni lunghi e tenuti delle semibrevi, in corrispondenza della parola pressit9 . Il rumore del terremoto, rumore carico di paura veniva simulato dalle note e dal canto, quasi una risposta dei devoti che contrapponevano un suono e un canto protetto da un santo al terribile squasso della natura per un antico principio logico di opposizione suono buono contro suono cattivo. I cittadini di un tempo, attraverso le cadenze festive che vedevano ripetersi celebrazioni e canti dedicati a San Berardo avevano viva la percezione del suo protettorato poiché il Responsorio era cantato non solo il 19 dicembre, giorno della sua festa ma anche il 21 maggio, giornata nella quale veniva ricordato un altro miracolo del santo.