“L’Hotel Rigopiano non c’è più, è crollato tutto”. Sono le 16.48 del 18 gennaio 2017.  Dal monte Siella, sul versante pescarese del Gran Sasso, si stacca una slavina potente come 5mila tir a pieno carico. Travolge e cancella l’hotel Rigopiano di Farindola. Si porta via 29 vite. “L’Hotel Rigopiano non c’è più, è crollato tutto”. Sono le 17.09 . La  voce di Giampiero Parete gracchia al cellulare, si intuisce a malapena. La funzionaria del coordinamento soccorsi della protezione civile non gli crede. Afferma che “la madre degli imbecilli è sempre incinta” . Non ha mai avuto così tanta ragione. La voce gira, rimbalza, si allarga. Ma lei  nega più volte l’accaduto a chi gli chiede di Rigopiano. Alle 20, ovvero tre ore dopo, quell’allarme disperato viene finalmente preso sul serio e partono i soccorsi.

Nessuna autorità ha chiesto scusa. Nessuna autorità ha chiesto come stanno i sopravvissuti e se hanno dei problemi.

Il Comune di Farindola non avrebbe dovuto rilasciare i permessi edilizi per l’hotel di Rigopiano. Questo dice subito la Procura. Poi indagini interminabili, perizie lente e veleni: l’anniversario alla vigilia dell’ennesimo rinvio. Rigopiano 5 anni dopo: 29 morti senza giustizia. Da quel grido disperato “L’Hotel Rigopiano non c’è più, è crollato tutto” sono passati 5 anni.

I ricordi di quei giorni sono ancora molto vivi, come fosse ieri… e invece sono passati già cinque anni. Per me che conosco e frequentavo quei luoghi sono ricordi indelebili. Era notte, buio pesto, bufera e gelo. “La strada era interrotta, i mezzi dei soccorritori incolonnati. Una volta giunti sul posto, i soccorritori si trovarono “il nulla di fronte”. Tutto raso al suolo, tutto ricoperto dalla neve.

Ingiusto. Come definire altrimenti – a cinque anni da una tragedia civile fra le più gravi della storia recente – un processo ancora impantanato nelle schermaglie dell’udienza preliminare, dopo un’inchiesta condizionata dall’ombra del depistaggio e da veleni, tra organi di polizia giudiziaria che hanno rischiato di aggiungere altro sangue alla storia di Rigopiano. Tempi biblici tra rinvii e scontri a suon di perizie. A cinque anni dalla tragedia di Rigopiano la verità giudiziaria – se non la giustizia – è ancora all’anno zero. Mentre incombe la beffa della prescrizione.

La tradizionale fiaccolata e la messa quest’anno si mescolano alla rabbia e alla frustrazione dei parenti. Mentre la politica propone la legge Cartabia che fa morire i processi d’Appello – se non si concludono dopo due anni – il procedimento “Rigopiano” va a rilento. E non sta andando a rilento solo a causa dei ritmi imposti dalla pandemia. Come ho scritto più volte  sul Fatto quotidiano già prima del coronavirus procedeva a ritmo di un’udienza al mese.  E ,infatti, già nel novembre del 2019  i parenti delle vittime – molti dei quali assistiti dall’avvocato Wania Della Vigna  – avevano protestato appendendo all’esterno del tribunale di Pescara una serie di striscioni tra cui  quello con la scritta divenuta ora famosa: “Il dolore non va in prescrizione né si rinvia”.

Gli occhi  ora sono puntati sul 28 gennaio. Giorno in cui è prevista la super perizia ordinata dal tribunale. Che però, come ricostruisce La Stampa, potrebbe slittare. “Per una proroga dovuta alla complessità tecnica della materia”. Nello stesso giorno è prevista l’udienza in cui il giudice potrebbe decidere il rinvio a giudizio dell’unico imputato che ha scelto il rito ordinario. Si tratta dell’ex sindaco di Farindola, Antonio De Vico che “avrebbe dovuto impedire la realizzazione dell’hotel”, recita l’accusa. “E comunque non ha adottato le norme di salvaguardia che avrebbero impedito decessi e lesioni agli ospiti della struttura”. Gli altri 29 imputati coinvolti hanno invece scelto il rito abbreviato. Ma se la sentenza non dovesse arrivare entro il 2022, o non molto oltre, alcuni reati cadranno in prescrizione. I reati contestati vanno dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi all’omicidio e lesioni colpose. Dall’abuso d’ufficio al falso ideologico. Ma l’abuso d’ufficio si prescrive in 5 anni. Il falso in sette anni e mezzo.

Anche quest’anno un altro anniversario senza giustizia. Unica sentenza comminata? L’ammenda di 4.650 euro ad Alessio Feniello, padre di una delle vittime, che nel 2018 ha violato i sigilli dell’albergo in rovina per deporre un mazzo di fiori. Viva l’Italia.