“Le modalità di esecuzione del reato, con l’inflizione alla vittima di ben 17 colpi di coltello, la dimostrata capacità dell’imputato di alterare le prove a suo carico al fine di simulare un’aggressione reciproca, financo autoinfliggendosi lesioni, e il precedente penale a suo carico per reati contro la persona, ostano alla concessione delle circostanze attenuanti generiche”. E’ uno dei passaggi più significativi delle motivazioni della sentenza con la quale la Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila, nel marzo scorso, ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione per Davide Troilo, il 35enne pescarese che il 2 dicembre 2016 uccise con 17 coltellate l’ex fidanzata 26enne Jennifer Sterlecchini. La Corte aquilana ha ritenuto infondato il ricorso presentato dall’avvocato della difesa,Giancarlo De Marco, che aveva provato a far cadere l’aggravante dei futili motivi per ottenere la concessione delle attenuanti, sulla base del fatto che lacontestazione iniziale era quella di avere ucciso la ragazza per non aver sopportato la fine del rapporto, mentre nella sentenza il movente era ricondotto alla mancata restituzione di un tablet. Per la Corte d’Appello, tuttavia, il giudizio non deve limitarsi” ad apprezzare se nella contestazione siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, ma deve valutare se un’eventuale trasformazione, sostituzione o variazione di detti elementi abbia realmente inciso sul diritto di difesa dell’imputato”. Inoltre i giudici hanno evidenziato che, “nel caso di specie, posto che si è proceduto allo stato degli atti, con conseguente utilizzabilità ai fini della decisione di tutte le dichiarazioni rese dall’imputato ai fini della ricostruzione del fatto e delle sue circostanze, non può non rilevarsi che la riferibilità della condotta omicidiaria alla mancata restituzione del tablet è desumibile dalle dichiarazioni dello stesso imputato, sul punto reiterate e sostanzialmente concordanti”.  Respinta anche la richiesta, avanzata dalla difesa, di una nuova perizia psichiatrica: la Corte d’Appello ha spiegato di non ritenerla “affatto necessaria ai fini del decidere, dovendosi ribadire il giudizio formulato dal primo giudice sulla piena capacità di intendere e volere dell’imputato, fondato sulle condivisibili conclusioni formulate” dal perito (ANSA).