Il 13 marzo 2013, la fumata bianca. Un conclave durato un giorno per eleggere il 266esimo successore di Pietro. Dieci anni fa veniva eletto Jorge Mario Bergoglio. Il Vangelo vissuto, gli “scartati”, l’ecologia integrale, la riforma della Chiesa, il dialogo interreligioso, l’attenzione alle donne e ai giovani: un magistero globale dall’accento argentino che ha cambiato il volto della chiesa universale. “E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo (…) Vi chiedo un favore: che voi preghiate il Signore perché mi benedica”: sono le 20.22 quando Papa Francesco pronuncia queste parole dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana. È appena stato eletto e il suo primo saluto alla folla in Piazza San Pietro racchiude già l’essenza del suo Pontificato: un cammino di Vescovo e popolo insieme, in cui è il primo a chiedere la preghiera al secondo. La prospettiva di Bergoglio parte dal basso, dall’attenzione rivolta a quelle «periferie» esistenziali e geografiche che fanno da contrappunto al suo essere e agire. Facendo riferimento in modo radicale ed esplicito al Vangelo, Papa Francesco imprime alla Chiesa una trasformazione missionaria per far sì che l’annuncio della Buona Novella possa raggiungere davvero tutti. Una Chiesa “in uscita”, con le porte aperte, che sia “ospedale da campo” e non tema la rivoluzione della tenerezza né il miracolo della gentilezza è quella desiderata da Bergoglio che avvia costantemente processi di riforma e di rinnovamento in un’ottica di prossimità e sinodalità con il popolo di Dio. Essere “pastori con l’odore delle pecore” è il suo invito ripetuto tante volte ai membri del clero, a ribadire che la Chiesa deve coinvolgersi nelle vicende terrene, per accompagnare l’umanità in tutti i suoi sviluppi. D’altronde, Jorge Mario Bergoglio si è spesso definito “un prete callejero”, un sacerdote di strada, disposto a camminare in mezzo al suo gregge, sempre attento a rialzare chi non ce la fa e a rassicurarlo, infondendogli speranza.

Sono passati 10 anni dall’elezione di papa Francesco, “preso alla fine del mondo”, per affrontare le tante questioni aperte nel cammino della Chiesa e nella testimonianza cristiana, per una chiesa che viveva una grave crisi in un mondo in grande trasformazione e cambiamento d’epoca. Già da quell’iniziale e colloquiale “buonasera” si è intuita la portata di grande novità nello stile del suo pontificato. Un decennio molto ricco di spunti, di sollecitazioni, di invocazioni a vivere la fede cristiana con autenticità, essenzialità, con un’apertura al dialogo con tutti, perché siamo “fratelli tutti”, al di là della propria fede o appartenenza etnica o culturale. Un dialogo intenso con le altre confessioni cristiane con un grande slancio sull’ecumenismo, con i “fratelli maggiori” ebrei, ma anche con il mondo dell’Islam in più occasioni diventate ormai storiche di incontro e maggiore conoscenza reciproca, per cercare di superare progressivamente tutti i macigni che la storia, in particolare quella recente, ha frapposto tra cristiani e musulmani.  Questi 10 anni di Pontificato sono stati caratterizzati da iniziative e riforme per coinvolgere tutti i cristiani in un nuovo slancio missionario con l’obiettivo di portare l’amore di Gesù a tutta l’umanità. Un magistero ricchissimo quello che papa Francesco ha donato e continua donare alla Chiesa e al mondo, aiutando a fornire chiavi di lettura di una realtà sempre più complessa attraverso il suo magistero sociale a partire dall’enciclica Laudato si’, così carica di implicazioni storico-politiche, per un’ecologia integrale che coniughi la salvaguardia del creato con la giustizia sociale, anche per una trasformazione del sistema economico oggi a egemonia neoliberista in una logica più solidale.

Non sono mancate le sue lacrime e i suoi moniti soprattutto davanti all’assurdità delle guerre in tutto il mondo, con particolare attenzione in quest’ultimo anno alla fratricida strage quotidiana in Ucraina. Ma anche di fronte ai tanti, troppi morti nel Mediterraneo, definito un cimitero in mare: da Lampedusa, primo suo viaggio fuori dal Vaticano, alle tragiche notizie di questi giorni di Cutro in Calabria. E ancora, l’attenzione al ruolo delle donne, in particolare nella Chiesa (con nomine inedite ai vertici ecclesiali), ai giovani (ai quali ha dedicato un Sinodo dei vescovi), alle famiglie, perno della vita di ciascuno. Papa Francesco è stato in questi 10 anni l’anti “uomo forte” che dialoga con tutti. La sua “diplomazia delle ginocchia”, radicata nella preghiera, che ha definitivamente desacralizzato il potere mondano (nessuno è “cattivo” a prescindere), lascia sempre la porta aperta, partendo dalla scelta del nome, e dalla sua prima “omelia” contro l’indigenza. Né marxista né liberista, Francesco è da 10 anni un Papa post ideologico molto critico sui guasti del capitalismo che guarda il mondo con gli occhi dei poveri. I cardinali furono convinti dalla sua visione che rifiutava una Chiesa chiusa nei suoi perimetri e sicura delle sue strutture e l’onda evangelica di Francesco non si è fermata, ma in molti settori è stata ostacolata o ignorata; eppure il suo messaggio di inizio pontificato resta lì, come proposta per oggi. E ciò non ha permesso al pessimismo legato ai tempi duri che viviamo di dare scacco matto alla fede e alla Chiesa. Pandemia, capitalismo egoistico, guerre hanno trovato sempre in prima fila il Papa che si è battuto affinchè il cambiamento epocale non facesse arroccare i credenti, ma li spingesse a guardare avanti con gioia, cogliendo i lati positivi di questo periodo e a non temere le crisi.