Un bagliore di fulmini. Poi la terra comincia a scricchiolare. Poi a scuotersi, sempre più rabbiosa. I muri ballano prima di aprirsi. Poi in un clamore si schiantano. E dopo il silenzio: e nebbia, solo una fittissima nebbia sulla città. Le immagini non lasciano tregua. Al mattino, dall’alto, nel ronzio dei droni quelle falangi di palazzi accartocciati, sembrano ora nidi di formiche. Troppo male in Turchia, e in Siria, già massacrata dalla guerra. Un insostenibile male. In verità, ricordando L’Aquila, il peggio è ciò che in quelle immagini non si vede: sotto, dentro il cemento, nelle intercapedini in cui ancora un pò d’aria resta. Nelle tende dove regnano fame e gelo. Nei cuori delle madri senza più lacrime che continuano a sperare contro ogni speranza.

Come cento atomiche, è stato detto, non un sisma ma un’enorme furia, un’apocalisse sul sonno delle famiglie, dei bambini. Una mole, un Vajont di dolore innocente. Le madri con i loro bambini prigionieri, il figlio che ti muore fra le braccia, le grida, i lamenti. Nella polvere che brucia gli occhi, e la gola implorando un goccio d’acqua, battendo disperatamente contro un muro. Ma, nel Vangelo di Luca non abbiamo letto che “Ogni capello del vostro capo è contato ?”.  E’ inutile, allora mi interpella acremente una domanda al pensiero di ciò che accade sotto le case crollate, e che non sapremo mai, “Dov’è Dio?’. Nel doloroso affannarsi frenetico di soccorritori sulle macerie, con le scale, con le ruspe, con i badili e le mani ? Cercano, prima di tutto, i bambini, che, piccoli, possono sopravvivere per ore in minimi spazi. Se ne vede in un video una che carponi, in pigiama, che scivola fuori da sotto una lastra di cemento, Come un gatto. O come un miracolo. Se ne vedono, neonati, in braccio a uomini che forse non sono i loro padri, eppure piangono di gioia, nel sentirseli caldi sul petto, nel sentirli vivi. Commuovono, i soccorritori visti dall’alto dei droni, così piccoli, su quello sfacelo. Che può fare quella ridicola ruspa, sulle rovine di dieci piani di cemento? Eppure, come si affannano, come rischiano la loro stessa vita, come si fermano di scatto, se appena sembra di cogliere, da là sotto, una voce. Gli uomini sanno anche, a volte, essere buoni.

Ma, mi dico, gli occhi a terra, io proprio non capisco, e mi ribello. Tutta quella morte, sul sonno migliaia di bambini che sognavano il giorno, la mamma, la scuola. Lo comprendo, l’Ivan dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij che voleva “restituire il biglietto” . Il biglietto per questa vita, restituirlo, come rinunciando a un giro di giostra troppo caro, dal costo insostenibile: non trovando risposta né pace, di fronte al dolore innocente. “Dov’è Dio?’ Eppure, laggiù, si affannano a scavare, a salvare, e aiuti stanno arrivando da tutto il mondo, cibo, farmaci e non armi, per una volta. Così radicato nell’uomo è anche un desiderio di bene, accanto a tanto male. Te ne stupisci, quasi. Perché la domanda resta: “Dov’è Dio?’. Dov’è Dio se nel mondo c’è il male, così tanto male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’è Dio quando persone innocenti muoiono a causa della violenza? Come Papa Francesco aveva esternato ad Auschwitz, mi chiedo “Dov’è Dio? Perché tac? Perché tollera tutto questo?”.

“Dov’è Dio?” quando malattie spietate aggrediscono i bambini, quanto il dolore è troppo forte anche per i più forti, quando non riesci a capire ne a spiegare, quando il male  rompe legami di vita e affetto? O quando i bambini vengono sfruttati, umiliati e anch’essi soffrono a causa di gravi patologie? Dov’è Dio, di fronte all’inquietudine dei dubbiosi e degli afflitti dell’anima?  Esistono domande per le quali non ci sono risposte umane. Possiamo solo guardare a Gesù, e domandare a Lui, ha sottolineato il Pontefice aggiungendo: “La risposta di Gesù è che Dio è in loro, Gesù è in loro, soffre in loro, profondamente identificato con ciascuno. Egli è così unito ad essi, quasi da formare un solo corpo“. Non è da me teorizzare davanti al dolore. Sarebbe uno sfregio stare qui con la mano che regge una testa che pretende di essere colta e blaterare mentre c’è qualcuno che soffre. Però credo sia giusto credere in un Dio per l’uomo. Che si fa vicino alla storia senza snaturarla, senza schiacciare la sua evoluzione, senza causare l’involuzione della volontà dell’uomo. Un Dio che non spiega il dolore ma lo assume, del Dio che si manifesta non tanto all’uomo quanto nell’uomo. Nell’uomo Cristo. E in ogni uomo che imita Cristo. Mi piace credere in un Dio che si manifesta nel dolore quando lo consoliamo. Un Dio che si manifesta nelle lacrime quando le asciughiamo.