Quando arrivi a Civitella e vai a visitare la Fortezza Borbonica ti tocca salire su per il paese, percorri la salita di via Roma, poi imbocchi l’erta della Prima Rampa. Ce ne sono altre tre per arrivare sulla cima della fortezza militare, la più grande d’Europa. Quando ti trovi ai piedi dell’ultima Rampa pensi subito che quella è la via che porta al vecchio millennio, grande e maestoso, dove l’esistenza umana si è spenta nell’immensità di un silenzio dove solo i ruderi sussurrano racconti di storie antiche. Una targa indica il Palazzo del Governatore, con i tetti crollati, le mura ancora in piedi che a malapena nascondono quelle crollate, quelle in parte ricostruite. A fianco la chiesa di San Giacomo. Qui c’è un bel portone ricostruito, è aperto, visitatori entrano e escono. Appena entri il contrasto immediato tra la luce del sole, fuori, e la penombra dell’interno, ti impediscono di vedere l’ampiezza del salone; poi l’occhio si abitua, intravedi altri visitatori, lo sguardo corre tutto intorno, viene attirato con prepotenza sulle pareti su cui sono esposti dei quadri. È la solita esposizione d’arte, pensi subito; ma non riesci a distogliere lo sguardo: c’è qualcosa che lo attira, qualcosa di insolito. Tiro fuori il cellulare, istintivamente, faccio qualche foto. Mi chiedo cosa mi attrae in modo particolare. Le figure nette, quasi incise nelle pennellate ad olio, mi hanno come causato uno choc, non capisco se mi trovo di fronte all’emulazione del passato verismo o al cospetto di nuove tendenze artistiche, non ho le competenze necessarie per giudicare. So soltanto che quel sax dall’ottone dorato risalta come fosse metallo vero nelle mani di un sassofonista senza nome, su un impalpabile sfondo perso nel nulla. Quello che percepisco è un urlo che viene dall’anima, un canto disperato, ritmato al suono stridulo di un sax tenore! Qual’è la passione che muove dal dipinto, da quello ancora e da quell’altro, una trilogia di suonatori jazz, e sempre quel sassofono a cantare la disperazione di una musica antica! Mi avvio all’uscita, due donne vicino all’ingresso sedute a un tavolino. Chiedo chi sia l’espositore. “Sono io” risponde con semplicità la voce dolce di una donna dai capelli neri e i bei lineamenti. Mi regala un dépliant con alcune delle sue opere. E il contrasto tra il bel personaggio e la passione disperata che racconta mi stupisce ulteriormente. Ma forse è questa l’arte, l’inperscrutabile mistero che racconta e che nasconde nello stesso tempo. I quadri sono di Giorgina Violoni, le fotografie sono mie.

 

di Pasquale Felix

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