È difficile capire la crisi che ha portato alla feroce invasione russa in Ucraina, con tutte le sue implicazioni, se non si accetta il fatto che questa è una crisi regionale dentro una crisi molto più ampia, globale. E che i morti di Khar’kiv e Mariupol’, del Donbass e dell’esercito russo sono le vittime di uno scontro che non è cominciato il 24 febbraio scorso ma che dura da circa tre decenni. Sono passate settimane dall’inizio del conflitto in Ucraina. Come in Jugoslavia, in Iraq, in Siria, in Burkina Faso, la follia della guerra ha orizzonti infiniti e impatti devastanti sulle popolazioni civili generando morti, feriti e milioni di profughi. Questa è una guerra che dobbiamo affrontare senza ipocrisie. Come molti oggi sentiamo che più forte si deve alzare la voce contro questa guerra e contro tutte le guerre, dovunque scoppino, qualunque sia la loro forma e qualsiasi il nome che viene dato loro. A nome del movimento pacifista posso dire che ci opporremo sempre a chi la guerra la desidera, la fomenta o la prepara. Contestiamo la scelta del governo italiano di inviare armi in Ucraina a pochi giorni dall’invasione russa, privandosi subito della possibilità di agire un negoziato. Riteniamo scellerata la scelta di aumentare le spese militari fino al 2% del PIL, così come richiesto dalla NATO, denunciamo la militarizzazione dei nostri territori e rilanciamo la necessità di adottare, di nuovo dopo 40 anni, l’obiezione di coscienza alla spese militari. Ci sembra incredibile che ancora si possa scegliere di perseverare in politiche di guerra, distruttive delle persone, dei popoli, del pianeta. Lo dice la storia e lo sanno anche i bambini: la Pace non si costruisce con le armi. La Pace si costruisce con la cultura del rispetto dell’altro, con la cooperazione e con la promozione di stili di vita responsabili per l’ambiente e per la giustizia. La Pace è per tutti o non è per nessuno.

Mai i cittadini europei si sono sentiti così coinvolti in un conflitto e mai come stavolta la risposta di teologi e moralisti è risultata scialba, ripetitiva, inadeguata a rispondere alle domande che la crisi e la guerra hanno posto con la consueta violenza. La domanda che tutti ci facciamo è:  sono stati davvero esperiti tutti i mezzi non violenti? L’invio di contingenti militari aggiuntivi da parte dell’Alleanza Atlantica nei Paesi dell’Est Europa alla vigilia della crisi con Mosca è servito a promuovere quella de-escalation militare che la Nato chiedeva alla Russia o non ha invece contribuito ad alimentare le tensioni? E da parte del governo ucraino è stato esplicitato con chiarezza a Putin che l’Ucraina avrebbe potuto rivedere e anche cancellare i vari articoli inseriti nella Costituzione nel 2019 che affermano “l’irreversibilità del percorso europeo ed euro-atlantico dell’Ucraina” come condizione per un accordo? E a proposito del sacrosanto diritto del popolo ucraino alla propria autodeterminazione nel campo della sicurezza, dovremmo allora domandarci se i Paesi europei possono dire di poter esercitare la propria piena autodeterminazione nel settore della difesa, quando nel proprio territorio sono presenti numerose basi militari degli Stati Uniti che, tra l’altro, ospitano ordigni nucleari di cui non hanno alcun controllo. Piaccia o meno ai soloni dell’informazione, le questioni che riguardano la difesa e la sicurezza europea non rientrano nella sola ed esclusiva competenza di un Paese – che sia l’Italia, la Germania o l’Ucraina – ma sono tuttora segnate dalla logica delle “sfere di influenza” e come tali vengono considerate da parte delle potenze che hanno sconfitto, a caro prezzo, il nazi-fascismo in Europa, Russia compresa.

Con questo, sia ben chiaro, non intendo in alcun modo giustificare l’invasione militare dell’Ucraina da parte delle forze armate russe: invasione che condanno con chiarezza, senza se e senza ma. Intendo invece sostenere che anche stavolta nel giustificare la risposta armata si è dato per scontato che sia stata osservata la prima e fondamentale condizione della “legittima difesa” e cioè che siano stati esperiti, da parte di tutte le parti – compresi gli Stati Uniti, la Nato e l’Unione Europea – tutti i modi per trovare un accordo e tutti i mezzi nonviolenti per rispondere a una aggressione annunciata. La base militare di Yavoriv in Ucraina, dove per anni si è tenuto l’addestramento delle truppe ucraine da parte della Nato, le consistenti forniture di armi e sistemi militari degli Stati Uniti alle forze armate ucraine nelle settimane che hanno preceduto l’invasione sono forse state un modo per promuovere una risposta nonviolenta? L’integrazione nelle forze armate ucraine di gruppi paramilitari di chiara matrice nazista come il battaglione Azof – responsabile secondo le Nazioni Unite di “uccisioni indiscriminate di civili, saccheggi e torture” – e delle milizie nazionalistiche di Pravyj Sekto (Settore Destro) sono state fatte per incoraggiare la distensione? L’addestramento militare nelle piazze ucraine della popolazione civile con fucili reali e sagome e la distribuzione di armi sono state un modo per scoraggiare la difesa armata? Non prendiamoci in giro: se ti addestri sempre e solo alla guerra, non stai cercando una risposta nonviolenta, ti stai preparando alla guerra.

Quella armata è una risposta legittima, certamente, e riconosciuta dalla Carta delle Nazioni Unite del 1945 che all’articolo 51 dichiara “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro uno Stato membro”. Ma la Carta dell’Onu non afferma che questo “diritto naturale” sia da esercitarsi solo ed esclusivamente con mezzi e strumenti militari e anzi afferma che gli Stati membri “devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo” (art. 2). La legittima difesa armata è, pertanto, solo una delle possibili risposte a una aggressione armata e deve essere sempre adottata come “estrema ratio” avendo esaurito tutte le altre risposte possibili e non come prima e unica reazione a una aggressione annunciata o in atto. È quanto prescrive la Costituzione italiana nata, ricordiamolo, dalla resistenza al nazi-fascismo, che all’articolo 11 sancisce non solo che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, ma aggiunge “e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Con questo i Padri e soprattutto le 21 Madri Costituenti – che furono le principali promotrici di questo articolo – intesero mettere al bando (ripudiare) l’intervento armato (la guerra) come modalità non solo di offesa, ma soprattutto come mezzo per risolvere le controversie internazionali anche quando la controversia ha assunto il carattere del conflitto armato.

È per questi motivi che la Rete italiana pace e disarmo e numerose associazioni, tra cui Pax Christi, hanno contestato la decisione del governo italiano di fornire armi e mezzi militari all’Ucraina. Armi che, invece, sono state inviate non solo sottraendo fondi destinati alla cooperazione e per di più utilizzando voli “umanitari”, ma addirittura secretandone quantità e tipologia contribuendo così a incrementare sospetti e tensioni. Ma c’è anche un altro problema non certo irrilevante in questa crisi al quale è stata posta poca se non nulla attenzione da parte dei teologi moralisti. Il presidente russo Putin ha ripetutamente minacciato l’impiego di bombe nucleari. È la situazione che aveva ben presente, all’indomani della crisi dei missili di Cuba, papa Giovanni XXIII il quale nell’enciclica Pacem in Terris ha affermato: “In un tempo come il nostro, che si gloria della potenza atomica, è alieno ad ogni ragione che la guerra possa essere uno strumento adeguato per ripristinare diritti violati” (n. 67). A differenza di altri conflitti, con la minaccia nucleare, ciò che è in gioco oggi in Ucraina non è solo l’indipendenza di una nazione e la libertà di un popolo, ma la sua stessa sopravvivenza e, di fatto, anche la nostra e dell’intero pianeta. Inviare armi è stata la risposta più comoda ma anche la più pericolosa: secondo il diritto internazionale vigente non rappresenterebbe un vero e proprio “atto di belligeranza”, ma è indiscutibile che a livello politico costituisca un gesto di chiara ostilità. È perciò ancor più grave che questa decisione sia stata assunta dai Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea salutandola come una “decisione storica” mentre contemporaneamente diversi Governi annunciavano l’incremento della propria spesa militare.

La guerra in Ucraina e l’impossibilità di difendere l’aggredito con mezzi militari – se non a rischio di scatenare una guerra mondiale – mostra il fallimento non del pacifismo, ma dell’enorme macchina militare che si continua ad alimentare anche in Italia e in Europa. È un’ulteriore prova della fragilità di un ordine mondiale che non si basa su regole certe e vincolanti e che non è in grado di farle rispettare attraverso un sistema sanzionatorio e di sicurezza internazionale, ma che si fonda tuttora sulla legge del più forte. È l’ennesimo caso di una lunga serie di violazioni e di guerre che reclamano, ogni giorno di più, di ridefinire il sistema, l’architettura e gli strumenti preposti alla sicurezza internazionale: sistema che si potrà instaurare solo abolendo il diritto di veto degli Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E rende urgente promuovere la prassi della nonviolenza e l’etica della pace. Alle quali la dottrina cattolica potrebbe notevolmente contribuire rimettendosi in umile e attento ascolto della parola e della vita di Gesù di Nazareth. La pace è per tutti o non è per nessuno e si costruisce con la cultura del rispetto dell’altro, la cooperazione e la promozione di stili di vita responsabili per l’ambiente e la giustizia.