TERAMO – Ricostruzione post terremoto. Qualche luce e molte ombre.

Il 24 agosto è stata commemorato l’anniversario del quarto anno dagli eventi sismici che hanno sconvolto, nel 2016 e 2017, l’Italia centrale. Il 6 aprile di quest’anno è stato l’undicesimo anniversario del sisma che ha distrutto L’Aquila e danneggiato i territori abruzzesi, compreso diversi Comuni del teramano.

Come per ogni anniversario è stata l’occasione per fare il punto della situazione, per promettere accelerazioni, per rassicurare chi ha perso la casa, e non solo, di una celere risoluzione dei problemi.

Intanto sono passati quattro anni; undici dal sisma del 2009.

Visitando il sito dell’USRC, Ufficio Speciale Ricostruzione Comuni del Cratere del sisma 2009, si nota subito una infografica che indica lo stato dell’arte della ricostruzione.

La ricostruzione privata nell’area del cratere vede, ancora, 667 cantieri attivi, con 7205 abitazioni tornate agibili a fronte di 23240 edifici danneggiati. Fuori cratere i cantieri attivi sono 597 con 1889 abitazioni tornate agibili su 3610 abitazioni inagibili.

Per le opere pubbliche se si guarda, ad esempio, alle scuole (http://www.usrc.it/attivita/scuole-d-abruzzo/le-scuole/l-aquila), si scopre che molti interventi sono in corso di attuazione ed altri ancora nella fase di progettazione.

E sono passati 11 anni!!!

Per il sisma 2016/2017 i numeri aggiornati sono stati diffusi, con un corposo fascicolo, dal Commissario straordinario alla ricostruzione, il 21 agosto di quest’anno. (Rapporto sulla Ricostruzione – Giugno 2020_REV_2 )

Sono passati “solo” quattro anni, e se ci concentriamo solo sull’Abruzzo scopriamo che sono state presentate all’Ufficio Speciale della Ricostruzione, per edifici con danni lievi (esito B) 1615 pratiche, di cui 292 accolte, 93 respinte e 1230 in lavorazione; per edifici con danni gravi 462 pratiche presentate, di cui 46 accolte, 48 respinte e 368 in lavorazione. I cantieri avviati sono 338 di cui 187 in corso e 151 ultimati.

Numeri bassi, se si considera che gli edifici danneggiati, sempre secondo il rapporto, in Abruzzo sono 12.941 (6.382 danni lievi e 6.559 danni gravi) e, quindi, mancano all’appello quasi 10.000 pratiche!!!

Cosa ha provocato il ritardo nella presentazione delle pratiche? Se ne è parlato a lungo in questi quattro anni, che hanno visto avvicendarsi quattro Governi e altrettanti commissari alla ricostruzione. Qualcuno, in realtà molti, ha voluto addossare le responsabilità sui tecnici, rei di non voler, per ragioni oscure, lavorare alle pratiche. In realtà una normativa farraginosa, in continuo cambiamento, con gli USR in perenne affanno per mancanza di personale, non ha di certo favorito chi doveva, e deve, lavorare con le complesse pratiche della ricostruzione, e molti tecnici hanno preferito attendere certezze pur di non perdere prezioso tempo nel predisporre pratiche che, poi, venissero bocciate dagli uffici.

Di ordinanza in ordinanza (abbiamo superato le 100), e con nuove leggi che dovrebbero snellire gli iter burocratici ed assicurare ai tecnici una retribuzione equa e la certezza delle procedure, forse (il condizionale è d’obbligo), dovremmo assistere ad una accelerazione.

Ma i numeri del sisma 2009 ci dicono che occorreranno, comunque, anni.

Nel frattempo, al di là della ricostruzione fisica degli edifici, in pochi si pongono il problema di come ricostruire le comunità che il terremoto ha disperso.

Di aree interne, in Italia, si parla da anni. Si parla.

Nella tragedia la ricostruzione poteva, e potrebbe, essere un’opportunità per rivedere modelli insediativi (non sempre ricostruire “dov’era e com’era” è un’ottima idea); per ottimizzare servizi (inutile ricostruire scuole che non vedranno più alunni; meglio ripensare il sistema scolastico secondo le reali esigenze); per mettere in sicurezza il territorio; per ripensare il rapporto tra costruito e spazi aperti; per riportare abitanti e attività in aree che, d’inverno, si svuotano e riequilibrare il rapporto insediativo tra costa e zone interne.

Ma in Italia, in una emergenza senza fine, è già tanto che si tenti di ricostruire. Sperare in strategie, anche di lungo respiro, forse è troppo.

 

di Raffaele Di Marcello