PESCARA – Singolare conferenza stampa, questa mattina a Pescara, con una contestuale piccola mostra simbolica realizzata con alcuni oggetti raccolti durante le pulizie delle spiagge e di altri ambienti naturali e urbani, per dimostrare che i rifiuti abbandonati, non conferiti nella raccolta differenziata e rilasciati abusivamente lungo le sponde dei fiumi, prima o poi inevitabilmente arrivano al mare e da questo sono poi destinati a tornare sulle nostre spiagge. L’iniziativa è stata realizzata nell’ambito della campagna del WWF Italia “GenerAzioneMare” che si pone come obiettivo la difesa delle coste e del mare, in particolare dalla minaccia dell’inquinamento da plastica.

“Serve certamente l’impegno delle istituzioni – hanno sostenuto gli ambientalisti – ma anche una mobilitazione generalizzata dei cittadini”. Per chiedere l’attivazione di tutti il WWF Italia ha lanciato questa estate il Self Tour Plastic Free, dedicato a tutti coloro che desiderano impegnarsi anche per poco tempo mentre passano una giornata al mare: “come le gocce del mare, tante pulizie realizzate in modo capillare sono in grado di restituire bellezza e naturalità alle nostre amate sponde”, afferma l’associazione ambientalista che, per lanciare la nuova iniziativa ha attivato tutti i canali social: una nuova community “Con WWF per un Mondo Plastic Free” sul canale Facebook grazie alla quale è possibile condividere informazioni e esperienze che a fine estate il WWF raccoglierà in un grande Album collettivo di
immagini delle singole iniziative ‘selfie’. Le attività di pulizia possono essere condivise anche su Instagram con il filtro “Plastic Take Away” creato dal WWF.

“Quello che abbiamo trovato sulle nostre spiagge è quello che ci buttiamo noi abruzzesi – ha sottolineato il Delegato del WWF Abruzzo Filomena Ricci – Come società dobbiamo ripensare radicalmente il nostro rapporto con la plastica. Chiediamo a tutti di ridurne il consumo e alle persone di buona volontà di collaborare ogni giorno alla pulizia delle spiagge e degli ambienti naturali. Primo: non gettare rifiuti se non seguendo le disposizioni per la raccolta differenziata del proprio comune. Secondo: se passeggiando incontriamo una bottiglia o un altro oggetto abbandonato è un bel gesto raccoglierlo, con le dovute cautele igieniche, e portarlo in un cestino o in cassonetto, se possibile differenziando. Le iniziative come quella di oggi servono per far conoscere il problema e prospettare soluzioni. Poi toccherà alle istituzioni e a ciascuno di noi mettere in pratica buoni comportamenti”.

LA MOSTRA DEL WWF
Tra gli oggetti più inconsueti in esposizione: bambole, uno scarpone da sci abbandonato lungo un fiume, ruote, passeggini, retine per acquacoltura, che rappresentano sulle spiagge un vero flagello insieme ai resti delle coperture in plastica delle cosiddette palme da ombreggio, e persino lo scheletro di una lanterna volante: questi pericolosi
aggeggi di origine orientale, sempre più diffusi tra noi, rischiano di innescare incendi e comunque finiscono col perdersi nell’ambiente, talvolta assai lontano dal luogo di lancio, e spesso in mare, ennesima trappola per pesci e altri animali.

LA PLASTICA NEL MARE
La plastica è entrata a far parte della nostra vita in quantità tali da diventare un problema serio per l’ambiente, soprattutto per il modo in cui è stata gestita e perché ha stravolto i sistemi di consumo delle nostre società, divenendo in molti casi un materiale usa e getta. Era stata invece pensata per essere resistente e duratura e infatti non scompare mai frammentandosi in pezzi via via più piccoli. Attualmente si producono 396 milioni di tonnellate di plastica all’anno, 53 kg per ogni abitante del Pianeta. Poco più del 20% viene riciclato o incenerito (contribuendo in questo secondo caso al peggioramento della qualità dell’aria), molta parte finisce invece in mare. Già oggi nei mari
sono presenti oltre 150 milioni di tonnellate di plastica. Uccelli, pesci, balene, tartarughe… un milione e mezzo di animali, ogni anno, è vittima dei rifiuti di plastica scaricati negli oceani. Un problema destinato a peggiorare: se non si interromperà lo sversamento, entro il 2050 negli oceani ci saranno più plastiche che pesci.

LE MICRO E LE NANOPLASTICHE
Gli oggetti voluminosi non scompaiono nel tempo, al più si frammentano. E le micro e le nanoplastiche (sotto i 10 micron) sono i frammenti più piccoli e insidiosi nei quali viene col tempo ridotta la plastica abbandonata in mare. Sono presenti in enormi quantità nelle acque di tutto il mondo, dove diventano vere e proprie “spugne” di inquinanti che vengono poi ingeriti dagli animali e, attraverso la catena alimentare, finiscono anche nel nostro organismo. Oltre a tutte le sostanze usate nella loro produzione (dai plastificanti agli additivi già noti per avere effetti negativi sulla salute, come il bisfenolo-A o altri appartenenti alla famiglia degli ftalati), le microplastiche sono “appiccicose” e possono accumulare anche metalli pesanti, come il mercurio, e inquinanti organici persistenti (POP, dall’inglese persistent organic pollutants), tra cui pesticidi, ritardanti di fiamma bromurati e idrocarburi policiclici aromatici. Le microplastiche sono in grado di concentrare i contaminanti sino a 1 milione di volte la concentrazione presente nell’acqua. Tali contaminanti, una volta entrati nell’organismo, possono interferire con importanti processi biologici, causando danni epatici o alterando il sistema endocrino. In tal modo la plastica e i suoi additivi non sono più soltanto intorno a noi, ma anche dentro di noi, presenti nel nostro sangue e nelle urine, e perfino nel liquido amniotico e nel latte materno, e non si tratta di presenze minimali, ma di quantità tali da poter essere misurate! Un fenomeno ancora da approfondire, ma quel che emerge dai primi studi è certamente assai preoccupante: in base ai dati disponibili lo scorso anno il WWF valutava che ingeriamo microplastiche per circa 5 grammi alla settimana mentre una ricerca italiana pubblicata nel giugno scorso sulla rivista Enviromental Research ha rilevato e quantificato per la prima volta la presenza di micro e nanoplastiche nella parte edibile di frutti e verdure consumate in Italia, tra cui mele, pere, patate, carote, lattuga e broccoli. Nel gustarci una mela potremmo inconsapevolmente mangiare anche polietilene e polistirolo, che sono poi i materiali plastici più usati per le pacciamature in agricoltura, nelle serre e nei vivai.

sdr