PESCARA – Secondo i dati ISPRA del Report 2020 “Consumo del suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, emerge come la corsa del cemento in Italia non si arresta. Nel momento in cui nasciamo abbiamo già la nostra porzione di cemento: 135 mq per ogni neonato e, in generale, cresce più il cemento che la popolazione. La situazione è descritta in una nota del WWF Abruzzo, corredata di dati relativi alla nostra regione.

L’Abruzzo è al 4,96% di territorio consumato e si posiziona ancora sotto la media nazionale, ma il dato è in crescita: in termini di incremento percentuale rispetto alla superficie artificiale dell’anno precedente, nella nostra regione si registra il secondo valore più elevato (+0,39%), subito dopo la Puglia (+0,40%), e prima di Sicilia (+0,37%) e Veneto (+0,36%). L’incremento di consumo di suolo pro-capite regionale è stato di 1,60 mq/abitante contro la media nazionale di 0,9 mq. Sempre nel confronto tra il 2018 e il 2019, l’Abruzzo nell’incremento di percentuale di consumo di suolo registra lo 0,39%, quasi il doppio della media nazionale che è allo 0,24%. Pesante l’occupazione delle coste, già cementificate per quasi un quarto della loro superficie: qui il consumo di suolo cresce con un’intensità 2-3 volte maggiore rispetto a quello che avviene nel resto del territorio.

Tra le province italiane, Teramo con lo 0,57% raggiunge il quarto posto tra quelle che hanno registrato l’incremento percentuale maggiore rispetto al valore del 2018 dopo Cagliari (+0,98%), Messina (+0,64%) e Verona (+0,62%), mentre Pescara risulta essere tra i capoluoghi di provincia con la maggiore percentuale di superficie artificiale rispetto ai confini amministrativi (51%), anche se viene segnalato il dato positivo di circa mezzo ettaro recuperato grazie alla rinaturalizzazione di alcuni piazzali in terra battuta.

“Appare, dunque, evidente – sostiene il WWF – che la Regione Abruzzo dovrebbe applicare una politica urbanistica che punti al controllo del consumo inteso non in termini assoluti, ma in ragione di un bilancio, tra suolo occupato e recuperato, che tenga conto anche delle variazioni qualitative degli usi del suolo oltre che quantitative. Va approvata una norma regionale, coordinata con le normative urbanistiche vigenti (da aggiornare, peraltro: la legge urbanistica regionale è del 1983!), che disciplini l’uso del suolo nell’ottica conservativa di recupero e rigenerazione dell’edificato esistente e dei suoli a vario titolo impermeabilizzati”.

“Non è possibile contenere il consumo di suolo senza avere un quadro esaustivo della situazione attuale e dei trend in atto: per questo è fondamentale avere contezza del bilancio netto tra suolo occupato e recuperato, dato che si può ottenere solo introducendo meccanismi di contabilizzazione del fenomeno. La procedura di VAS degli strumenti urbanistici potrebbe rappresentare il dispositivo per dare efficacia a tale forma di monitoraggio. A ciò deve accompagnarsi una maggiore manutenzione del territorio (e non solo delle infrastrutture) basata su criteri di rinaturalizzazione e ripristino della funzionalità ecologica. In particolare, la Regione dovrebbe favorire il recupero della capacità di ritenzione delle acque nelle zone di montagna e collinari, promuovendo il mantenimento e, ove possibile, l’aumento della superficie boschiva strutturata e di qualità e rinaturalizzando i corsi d’acqua montani per garantire una reale riduzione del rischio idrogeologico. Deve essere netta – conclude il WWF – l’opposizione a qualsiasi nuova costruzione negli alvei fluviali ed è fondamentale recuperare e ampliare, nei fondovalle e nelle pianure, le zone di esondazione naturale dei fiumi per consentire un’adeguata gestione dei sempre più frequenti devastanti e improvvisi eventi di piena”.