A Genova, città decorata al valor militare per la Resistenza al nazi-fascismo sin dal 1 agosto del ’47, che conta migliaia di morti e deportati; la stessa città che tutta si oppose a quel VI congresso missino che Almirante decise di indire lì e che culminò in quel 30 giugno del ’60 in aspri scontri con le forze dell’ordine, che sparavano ad altezza d’uomo, ma che dovettero desistere anche grazie alle donne genovesi che dalle finestre buttavano di tutto su di esse, quando avanzavano in strada e nei vicoli, all’inseguimento dei manifestanti. Moti che dettero l’avvio ad altre manifestazioni di solidarietà in Roma, Milano, Torino, Livorno, Ferrara e tante altre e che alla fine determinarono le dimissioni del governo Tambroni, il primo e ultimo esecutivo appoggiato dall’esterno dal Movimento Sociale Italiano di tutta la 1a Repubblica.

Ebbene, in questa città decorata, patriottica e anti-fascista, i così detti capi di Stato più potenti della Terra, responsabili maggiori di quel W.T.O. – World Trade Organization (l’Organizzazione mondiale del commercio globalizzato multinazionale) vengono ad incontrarsi e decidere le loro strategie economiche; blindando una intera città, trincerandosi all’interno di essa dietro posti di blocco della polizia e militari armati fino ai denti, blocchi di cemento, transenne, filo spinato, con percorsi obbligati e dichiarati per i cittadini: uno stato di guerra creato “ad hoc!”.

Un G8 che veniva dopo il movimento che a Seattle quel 30 novembre del ’99 lottò e manifestò contro quella globalizzazione selvaggia delle “corporation” dimostrando al mondo che quando la gente comune si unisce su temi importanti come lavoro, ambiente, diritti sociali, può veramente dire NO al grande capitale multinazionale. Gli stessi moti di Napoli del 17 marzo ’01, contro quel “Global Forum” mal gestito e represso duramente da quel centro-sinistra a guida Amato, appena succeduto ai due esecutivi D’Alema: fatti deplorevoli per un centro-sinistra, un governo D’Alema che non aveva neanche risolto la questione del conflitto di interessi di Berlusconi, anzi.

“Voi in 8, noi in 6 miliardi” gridavano i manifestanti che sfilavano quel 20 luglio ’01; parole che, all’interno del Palazzo Ducale, fra sfarzi di ogni genere e tipo facevano dire a Berlusconi che in strada c’erano degli inconvenienti e che il mondo è pieno degli stessi. E mentre le tute nere dei “Black Block” distruggevano e spaccavano indisturbati ogni cosa, i manifestanti venivano selvaggiamente caricati e pestati duramente dalle forze dell’ordine, dietro le direttive di Scajola, ministro di quel governo Berlusconi appena insediato. E le cose degenerarono sino a quando il giovane ventenne Carlo Giuliani rimase ucciso colpito alla testa da un colpo di pistola sparato da un carabiniere Mario Placanica, anche lui intimorito dal gesto violento dell’alzata di un estintore da parte della vittima.

Comunque, la gravità del fatto della morte di un ventenne non fece sì che l’evento fosse sospeso o rinviato: tutto continuò e i fatti si aggravarono ancora con le irruzioni alle caserme Diaz e Bolzaneto nelle notti che seguirono e dove si vennero a perpetrare azioni di pestaggio o di “violenta macelleria messicana”, come si dice in gergo. Gli ordini di quel governo Berlusconi-Fini e Scajola, ministro degli interni, erano ben precisi: soffocare con tutti i mezzi ogni protesta e lì, appunto, si eseguirono le disposizioni, in quelle caserme che ancora tutt’oggi ricordano e significano massacro. Violenze e pestaggi ed arresti di quei giovani svegliati in piena notte, portati via per essere identificati: azioni così cruente che non accadevano in Italia, tra manifestanti e l’ordine pubblico, sin dagli inizi anni ’60.

L’Italia intera rispose ancora una volta con manifestazioni e solidarietà, da Roma a Palermo, da Trieste a Napoli, Milano, Bologna, oltre alla stessa Genova scesero in piazza per evidenziare il proprio NO a quelle vicissitudini di inspiegabile e inaudita violenza: ma di quell’esecutivo di governo nessuno si dimise, anzi si dichiarò dell’andare avanti per dritto per non essere complici di quei “Black Block” che avevano distrutto Genova.

Un G.8 che nulla decise: né sulla povertà della gente; né sui tempi di remissione dei debiti o sul protocollo di Kyoto. Né su quel poco più di 1/5 dello stabilito per la sanità pubblica territoriale rappresentata. Anzi, alla Camera a Roma, si annuncia una indagine-inchiesta parlamentare sui fatti della Diaz e della Bolzaneto. Anche perché, si precisò, non c’era da fidarsi delle dichiarazioni di arrestati. Nello stesso tempo si presenta anche una legge a beneficio di quel cavaliere Presidente del Consiglio, che punta alla prescrizione certa di processi  per  “falso in bilancio”.

Stava iniziando un altro lungo periodo della politica berlusconiana, politica appunto asservita a quegli interessi e che negli eventi di Genova dimostra quella sua preoccupazione  di non poterla realizzare, per il forte distacco che c’era tra una parte dell’opinione pubblica e la loro maggioranza e il loro stesso programma da portare a compimento. In definitiva, Berlusconi-Fini e Scajola di Genova vollero dare agli italiani un preciso messaggio: “Restate buoni, indifferenti, lasciateci lavorare!”

Mario Ferzetti