La famiglia nel bosco, erano umani e non sono stati riconosciuti

Il parere di un musicista che legge la situazione guardando alla realtà da artista

2025-11-21T16:54:00+01:00 - Walter Cori

La famiglia nel bosco, erano umani e non sono stati riconosciuti

di Aleandro Mariani

Negli ultimi giorni l’Italia è stata attraversata da una notizia che merita ben più di un commento impulsivo: quella di una famiglia che ha scelto di vivere nel bosco, quasi con uno spirito fiabesco e malinconico, capace di evocare in ciascuno di noi la nostalgia delle favole che ci venivano lette da bambini. Storie di vita semplice, di casette tra gli alberi, di famiglie unite contro il mondo.

E ieri, improvvisamente, la notizia dell’allontanamento dei tre bambini da quella stessa famiglia che viveva in Abruzzo. Una vicenda complessa, raccontata da diversi organi di stampa, che ha immediatamente acceso un intenso dibattito pubblico.

In mezzo a questo rumore mediatico, sento il bisogno di proporre una riflessione diversa. Non una critica, non un attacco all’operato delle istituzioni, ma un invito a guardare la realtà con uno sguardo più sensibile, più umano, quasi musicale.

Ciò che ho visto in quei video, nelle testimonianze e nelle immagini diffuse, non era un quadro di incuria o trascuratezza, come talvolta si è voluto far credere. Era, al contrario, una melodia familiare rara, fatta di sguardi sinceri, di gesti affettuosi, di una quotidianità essenziale ma intensa. Una melodia costruita non su comfort o tecnologia, ma su valori antichi, autentici, quasi dimenticati.

Viviamo in un’epoca in cui parliamo continuamente di abbattere barriere sociali, di costruire ponti, di ritrovare armonia tra le persone. Eppure è paradossale che non riusciamo più a riconoscere l’armonia quando ce l’abbiamo davanti.

In quella famiglia immersa nella natura io ho visto un colore, una luce, un suono che raramente si percepiscono nella società contemporanea:

un vibrato di autenticità, un accordo puro, un equilibrio che molti, pur circondati da comfort e tecnologia, non riescono a conquistare.

Per questo l’intervento che ha portato all’allontanamento dei bambini mi è apparso come l’ingresso improvviso di una nota dissonante, un cambio armonico non preparato.

Una famiglia è una piccola orchestra: ogni voce, ogni gesto, ogni sguardo concorre alla sua sinfonia.

E quando si interrompe bruscamente questa musica, non si spezza solo un legame: si altera un’intera architettura armonica.

Non metto in discussione le decisioni dello Stato o della Magistratura, che avranno certamente agito secondo parametri normativi e responsabilità istituzionali. Ma, da musicista e da osservatore della società, non posso ignorare come questa scelta abbia prodotto una frattura sonora, un passaggio repentino verso una tonalità che stride — come una quinta sbagliata in una composizione che, fino a un attimo prima, respirava equilibrio.

Oggi più che mai, lo Stato dovrebbe essere un “direttore d’orchestra” attento: non un esecutore rigido, ma un interprete sensibile, capace di ascoltare, distinguere e valorizzare ciò che funziona.

In questa famiglia, forse, sarebbe bastato aggiungere qualche strumento — luce, gas, un supporto sociale — e non riscrivere da capo l’intera partitura. Una partitura che, nella sua semplicità, suonava già con un’intensità che molti hanno percepito.

Se davvero vogliamo costruire una società armonica, dobbiamo concederci una pausa.

Una pausa musicale.

Un momento di ascolto, prima di procedere oltre.

Un momento per chiederci se stiamo andando verso una comunità più inclusiva o se, spinti da tecnologia e burocrazia, stiamo perdendo la capacità di riconoscere la bellezza della semplicità.

Non cambiamo la tonalità della nostra società senza ascoltare ogni voce.

Non trasformiamo un’armonia fragile ma autentica in una disarmonia generata dalla fretta, dalla standardizzazione o da un’idea errata di “benessere”.

Ritroviamo insieme il tempo per riscrivere questa musica sociale con maggiore sensibilità.

Aggiungiamo strumenti quando servono.

Sosteniamo le parti più deboli.

Ma non interrompiamo la melodia familiare quando essa vibra ancora di umanità.