FOTO e VIDEO | L'Università di Teramo ha conferito la Laurea ad Honorem al Maestro Milo Manara
Il grande artista del fumetto: "La mia vita è il disegno. Senza il disegno, non avrei una vita”
2025-12-03T12:24:00+01:00 - La Redazione
TERAMO - Il maestro del fumetto Milo Manara ha ricevuto oggi all’Università degli Studi di Teramo la Laurea honoris causa in Media, Arti, Culture. La solenne cerimonia si è aperta con il tradizionale corteo accademico in un’Aula Magna gremita di studenti, docenti, artisti e appassionati che hanno accolto con un lungo applauso l’ingresso di Manara accompagnato dal magnifico rettore Christian Corsi.
Il riconoscimento a Milo Manara, come annunciato dalla direttrice del Dipartimento di Scienze della comunicazione Paola Besutti, è stato conferito al maestro «per l’innovazione nel campo della comunicazione attraverso il fumetto e l’illustrazione, per aver rappresentato a livello internazionale l’apporto italiano a questo linguaggio, per l’instancabile attività».
«Il conferimento della Laurea honoris causa al Maestro Milo Manara – ha dichiarato il magnifico rettore Christian Corsi - significa per l’Università degli Studi di Teramo riconoscere il talento di un maestro straordinario del fumetto e, insieme, rafforzare il nostro impegno culturale nel considerare questo linguaggio degno di studio, approfondimento e di dignità critica, capace di innovare la narrazione e il pensiero visivo contemporaneo. Siamo lieti di accogliere da oggi il maestro Manara nella nostra comunità come autore e creatore di mondi, interprete del corpo e dell’immaginario collettivo. Nel celebrare il suo percorso vogliamo riaffermare anche un ulteriore carattere del suo lavoro che facciamo nostro: la libertà intellettuale e artistica contro ogni forma di controllo e di censura. Da sempre la sua visione artistica si è espressa senza timore di esplorare territori complessi e provocatori e, come università pubblica, è nella nostra missione difendere e promuovere la libertà intellettuale come condizione imprescindibile per la crescita della cultura. La stessa libertà che consente agli studiosi di esplorare territori inesplorati, agli artisti di proporre nuove letture della realtà e agli studenti di formare un pensiero critico e immaginativo. Siamo orgogliosi di accogliere oggi il Maestro Manara nella comunità dell’Università degli Studi di Teramo e di diventare parte della sua storia personale e artistica: la sua presenza tra noi è un invito alle studentesse e agli studenti a credere nella forza della creatività e a interpretare la cultura come un campo aperto, che può contribuire a cambiare il modo in cui guardiamo il mondo».
La Laudatio accademica affidata a Stefano Traini, ordinario di Filosofia e teoria dei linguaggi, ha ripercorso le tappe fondamentali della carriera di Manara, dalle prime collaborazioni con sceneggiatori di fama internazionale ai progetti che hanno intrecciato arte, cinema e letteratura. È stato ricordato il suo contributo alla rappresentazione del corpo, dell’immaginario erotico e del viaggio come forma di conoscenza. Traini si è inoltre soffermato su una delle ultime prove di Manara: la trasposizione in fumetto del romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco.
«Non era facile - ha spiegato Traini - trasporre in un graphic novel un romanzo molto complesso di seicento pagine, un giallo filosofico ambientato in una abbazia medioevale scritto in stile postmoderno. Eppure Manara ha avuto coraggio, forse ispirato dal celebre aforisma di Eco “Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese».
Al momento della consegna della pergamena di laurea l’Aula Magna si è alzata in piedi in una lunga standing ovation.
«Oggi è il punto di arrivo, almeno per me. Più di questo non potrei sperare come riconoscimento, perché viene da una università e l’università è l’istituzione culturale più importante al mondo, costitutiva della società. Ma ringrazio il Magnifico Rettore soprattutto per lo straordinario onore che l’Università di Teramo ha voluto tributare al fumetto, riconoscendone lo spessore e il rango culturale e accademico. Lo ringrazio inoltre per aver parlato di libertà e di ribellione, diciamo, a una certa censura davanti a una platea di giovani studenti ai quali auguro buona fortuna».
Con l'entrata della rappresentanza accademica di Scienze della Comunicazione e del Senato Accademico, ha preso il via nell'Aula Magna dell'Università di Teramo la cerimonia di conferimento della Laurea Honoris Causa a Milo Manara, che ha fatto il suo ingresso (visibilmente emozionato) preceduto dalla Direttrice di Scienze della Comunazione Paola Besutti e al fianco del Magnifico Rettore Christian Corsi.
In un breve video la descrizione e il profondo senso della sua lunga attività di artista, maestro del disegno e tra i più famosi e influenti autori di fumetti in Italia e nel mondo.
Una cerimonia emozionante, non priva di commozione, tra le prolusioni che hanno accompagnato la cerimonia. Con il saluto del rettore Corsi e il discorso di Manara, anche una Laudatio Accademica del prof. Stefano Traini, ordinario di Filosofia e teoria dei linguaggi a Scienze della Comunicazione, che ben descrive l'attività del Maestro e le ragioni del conferimento della Laurea ad Honorem:
Magnifico Rettore, Autorità, Colleghe e Colleghi, Studentesse e Studenti, Signore e Signori,
è un onore per me oggi esporvi le ragioni che ci hanno spinto a proporre - e quindi a conferire - una laurea Honoris Causa a Milo Manara in un corso di laurea magistrale che è all’interno del Dipartimento di Scienze della comunicazione.
Milo Manara ha da poco compiuto ottant’anni!
A metà ottobre ho assistito a un bellissimo concerto che Nicola Piovani - premio Oscar - ha tenuto per festeggiarlo al Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno nell’ambito del Festival del fumetto “Linus”, organizzato da Elisabetta Sgarbi. Prima del concerto i due - Manara e Piovani - hanno deliziato il pubblico con una bella conversazione.
Milo Manara nasce in Alto Adige, a Luson, a sud della Val Pusteria. Cresce a Verona, dove frequenta il liceo artistico. Si iscrive alla Facoltà di Architettura a Venezia nel periodo della contestazione - siamo nel ’68 - ma capisce presto che non è quella la sua strada. È durante un periodo di apprendistato con lo scultore spagnolo Miguel Berrocal che incontra e scopre il fumetto: gli capita infatti tra le mani una storia di Barbarella, personaggio creato da Jean-Claude Forest che era il ritratto di Brigitte Bardot. Trasferitosi a Milano, comincia a lavorare per «Genius», disegnando sceneggiature scritte soprattutto da Mario Gomboli. Passa quindi alla casa editrice ErreGi, specializzata nel fumetto sexy tascabile. Qui inventa il personaggio di Jolanda de Almaviva, una piratessa sexy che cerca di recuperare il suo regno usurpatogli dal governatore di Maracaibo.
Alfredo Castelli lo porta al «Corriere dei ragazzi» dove già si faceva “fumetto d’autore”. Qui Mino Milani gli affida una nuova serie intitolata La parola alla giuria in cui personaggi storici controversi finivano sotto processo. È al «Corriere dei ragazzi» che Milo Manara comincia a prendere molto sul serio la professione di fumettista.
Al Salone Internazionale dei Comics di Lucca del 1969 incontra Hugo Pratt: è l’incontro della vita, con quello che sarà sempre il suo “Maestro”. L’inventore di Corto Maltese faceva fumetti per adulti caratterizzati dal divertimento e dall’avventura, senza intellettualismi o cerebralismi: questo taglio era ciò che affascinava Manara nonostante lo stile pulito e sintetico di Pratt fosse distante dallo stile più tratteggiato di Mœbius, l’altro suo autore di riferimento. Comunque i due si conoscono e fanno subito un lungo viaggio con il camper di Manara fino a Parigi, con varie tappe intermedie: il primo di tanti viaggi importanti che i due faranno in giro per l’Europa. Dal maestro Pratt Manara imparerà molte cose ma forse la più importante è l’attenzione all’ordine narrativo, alla “tenuta narrativa” del fumetto: la narrazione viene prima di tutto, l’estetica è secondaria, se non fuorviante.
Per il prestigioso editore francese Casterman Manara inventa un personaggio affascinante che decide di uscire dalla vita ordinaria e di partire alla ricerca di avventure. È Giuseppe Bergman: bello, esotico, un po’ Alain Delon, ha un camper proprio come l’autore che lo immagina e ha persino una guida, un “maestro d’avventura” che viene indicato con le iniziali H.P.: Hugo Pratt. La prima storia del ciclo - HP e Giuseppe Bergman - esce in Francia per Casterman nel 1978 e viene pubblicata in Italia due anni dopo su «Totem», una rivista di nicchia. La saga di Bergman occupa un periodo molto lungo della carriera di Manara, se si pensa che la prima storia è del 1978, altre tre vedono la luce negli anni Ottanta, poi una nel 1999 e l’ultima nel 2004 (quindi complessivamente ventisei anni). Soprattutto, ha una forte valenza politica: dice Manara nella sua Autobiografia che il fumetto raccontando l’avventura riesce a parlare a tutti, senza barriere; il fumetto è arte popolare, in senso politico ed etico. L’avventura è evasione ma la dicotomia tra evasione e impegno - per Manara come per Pratt - non ha senso: l’avventura è impegno. Giuseppe Bergman evade, diventa libero attraverso l’avventura. Tutto il ciclo di Giuseppe Bergman da questo punto di vista è molto eversivo e vi si può cogliere la fascinazione profonda per García Marquez, scrittore in quel periodo molto amato da Manara e grande maestro nel descrivere una certa magia dell’avventura.
Giuseppe Bergman assicura a Manara un grande successo internazionale. Un altro grande successo della sua carriera è senz’altro Il gioco, una storia erotica che Milo Manara realizza per la rivista «Playmen». Protagonista è la borghese Claudia Cristiani, algida e repressa: il dottor Fez è innamorato di lei e grazie a un marchingegno elettronico riesce ad annullare in lei i freni inibitori imposti dalla società e dalla religione. Manara qui affronta il tema dell’ipocrisia nel sesso e quindi nell’erotismo. Dice a questo proposito nella sua Autobiografia: “L’eros è come un animale che, se tenuto rinchiuso, è cattivo e rabbioso. Se liberato, invece, diventa gioioso e bello”. Soprattutto, si delinea l’immagine della donna che emerge dalle rappresentazioni anche erotiche di Manara: la donna sceglie in modo autonomo se e come vivere la sua sessualità. Le donne di Manara sono emancipate e si autodeterminano. Nel Gioco il marchingegno non costringe Claudia a fare ciò che non vorrebbe, ma al contrario è uno strumento liberatorio. Questa storia di erotismo, che ricorda in qualche modo Belle de jour di Buñuel, esce in Italia nel 1983 ma esplode in Francia con il titolo Le déclic e di rimbalzo diventa un caso editoriale anche in Italia. Ne è stato tratto anche un film diretto da Jean-Louis Richard con l’affascinante Florence Guérin.
Frattanto, Manara realizza un altro progetto, pensato e scritto da Hugo Pratt: Tutto ricominciò con un’estate indiana. La sceneggiatura è di Pratt ma Manara partecipa in pieno al processo creativo. Si tratta di un “racconto di frontiera” sulla colonizzazione dell’America nel Diciassettesimo secolo con grande attenzione alla costruzione narrativa: andamento cinematografico, disegno pulito e meno tratteggiato rispetto allo stile precedente ispirato a Mœbius, inquadrature regolari sempre con lo stesso punto di vista per non distrarre o disorientare il lettore. Un capolavoro del duo Pratt-Manara. Un altro successo internazionale e un importante premio al Festival di Angoulême.
Per Manara Pratt scrive anche la sceneggiatura di El Gaucho, la cui storia si svolge sullo sfondo della conquista dell’Argentina da parte degli inglesi, all’inizio dell’Ottocento. Pratt e Manara preparano questo fumetto per la nuova rivista «Il Grifo» di Vincenzo Mollica e Mauro Paganelli. Il nome di Vincenzo Mollica, del noto Vincenzo Mollica, compare diverse volte nella biografia di Manara: sono stati grandi amici e hanno condiviso idee, passioni, momenti importanti della vita. Tra le tante cose, è stato grazie a Vincenzo Mollica che Manara ha conosciuto Federico Fellini (siamo nel 1984), un regista per lui mitologico che poi sarebbe diventato un amico con cui condividere pause di lavoro, pranzi, serate, riflessioni. Complicità e ammirazione reciproca tra i due, dunque. A Cinecittà Milo Manara - per Fellini “Milone” - può stare sul set di Ginger e Fred, entrando così nel mondo magico del regista riminese. Per Fellini Manara disegna il manifesto di due film: Intervista (1987) e La voce della luna (1990). Soprattutto, su sua sceneggiatura, disegna due storie a fumetti: Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet: si tratta in realtà di due progetti di film non realizzati che hanno poi trovato - nella forma del fumetto - una destinazione diversa ma comunque molto efficace. Viaggio a Tulum esce sulla rivista «Corto Maltese» nel 1989 e riceve una grande attenzione da parte del pubblico. Si tratta di una storia in cui compaiono personaggi del mondo felliniano, da Vincenzo Mollica a Marcello Mastroianni/Snaporaz, nonché Fellini stesso e soprattutto il suo cappello, grande protagonista simbolico che porta i personaggi in un mondo sottomarino dove riposano i film che non sono stati realizzati. Da lì poi un viaggio straordinario in un Messico misterioso. Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet, “il film non realizzato più famoso della storia del cinema” (parole di Vincenzo Mollica), esce nel 1992 per «Il Grifo». È la storia surreale e onirica di un clown - Mastorna appunto, con lineamenti e corpo di Paolo Villaggio - che gira il mondo e che durante un viaggio in aereo si ritrova nel mezzo di un atterraggio di emergenza davanti a una imponente cattedrale gotica. Si tratta di un viaggio nei misteri dell’aldilà, una storia breve composta da ventitré tavole, una sorta di prima puntata che però non avrebbe avuto seguito.
Manara ha amato tutti i film di Fellini, forse 81/2 più di tutti, ma mi ha molto colpito sentirlo citare - nel colloquio con Piovani a cui accennavo prima - un altro film di Fellini da lui molto apprezzato: Il Casanova. Per la visionarietà, per l’atmosfera, per la colonna sonora straordinaria. Anche Roland Barthes rimase attonito di fronte al Casanova-burattino che ballava con una bambola meccanica in una Venezia ghiacciata e vetrificata. In generale, a pensarci bene, il connubio Fellini-Manara sembra oggi del tutto naturale: i due non potevano non trovarsi e Vincenzo Mollica ha di certo visto con lungimiranza certe affinità elettive.
Non posso qui soffermarmi su tutti i personaggi creati da Manara, sulle tante storie da lui realizzate: da Miele, personaggio di Il profumo dell’invisibile (ma poi anche di altre storie), alla Gulliveriana, il personaggio di Swift re-immaginato come una donna affascinante, alla storia di Caravaggio disegnata in due volumi, all’Odissea ri-raccontata a fumetti dal punto di vista del figlio di Ulisse, Telemaco. Vorrei dire invece qualcosa di più su una delle sue ultime prove: la trasposizione in fumetto del romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco. Il primo volume è uscito nel 2023, il secondo è uscito da pochi giorni.
Non era facile trasporre in un graphic novel un romanzo molto complesso di seicento pagine, un giallo filosofico ambientato in una abbazia medioevale scritto in stile postmoderno. Peraltro Manara doveva confrontarsi con un repertorio di immagini già presenti e diffuse: sia con i disegni preparatori di Eco che già definivano visivamente quel mondo narrativo, sia con il film di Jean-Jacques Annaud che aveva segnato il pubblico con i suoi protagonisti, i suoi paesaggi e le sue scenografie. Eppure Manara ha avuto coraggio, forse ispirato dal celebre aforisma di Eco (messo in esergo al fumetto): “Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese”. Com’è noto Eco aveva preso molto sul serio i fumetti già nel suo Apocalittici e integrati.
Manara riesce in una operazione straordinaria che nasce e si sviluppa innanzitutto nel segno della fedeltà: infatti tutte le linee narrative del romanzo vengono riprese (il giallo con gli omicidi, le discussioni sulla povertà e sul riso, le eresie, l’esperienza sessuale del novizio con una ragazza del villaggio, ecc.) e tutti i testi del fumetto sono tratti dal romanzo, scritti quindi - di fatto - da Umberto Eco. Anche la rappresentazione del complesso monastico con la disposizione della chiesa, della biblioteca e degli edifici ricalca fedelmente il modo in cui Eco l’aveva immaginato e disegnato. Così il fumetto mantiene e rafforza la struttura a due livelli che caratterizza il romanzo: un primo livello è quello del giallo con gli omicidi e le indagini, un secondo livello - più colto - è costituito dal contorno culturale e filosofico dell’ambiente e dell’epoca, nonché dalla rete di rimandi e di citazioni.
Così come Fellini entrava nel Viaggio a Tulum, Eco entra nel Nome della rosa come personaggio: Manara conferma così la passione per la commistione tra realtà e finzione facendo interagire i simulacri dei personaggi reali (scrittori, registi, attori) con gli altri personaggi di finzione. Il pubblico associava il francescano Guglielmo da Baskerville all’attore Sean Connery (dopo il film di Annaud) e Manara rompe gli schemi presentando un Guglielmo ispirato a Marlon Brando, l’affascinante e torbido protagonista di Ultimo tango a Parigi.
Il disegno di Manara è essenziale e sofisticatissimo: colori tenui si alternano al bianco e nero o ai colori più accesi degli interni. Ogni tavola ha colti riferimenti iconografici. Per alcune scene l’autore ha dichiarato di aver preso ispirazione dalle Storie di San Francesco affrescate da Giotto nella Basilica superiore di Assisi. Per raffigurare la battaglia tra Ludovico il Bàvaro e Federico il Bello, si ispira alla Battaglia di San Romano dipinta da Paolo Uccello in tre celebri versioni. La parte superiore del portale della chiesa, costituita da un Cristo in mandorla circondato da un tetramorfo, è ispirata al timpano centrale della cattedrale di Chartres, mentre la parte inferiore con la teoria di demoni è ripreso dal portale occidentale della chiesa di Sainte-Foy de Conques in cui è scolpito uno splendido Giudizio universale. Del resto sappiamo che Eco nel periodo di preparazione della tesi di laurea su Tommaso d’Aquino aveva visitato le principali chiese medioevali francesi, e molti anni dopo ne aveva recuperato gli schemi architettonici e iconografici per il romanzo. La chiesa dell’abbazia è rappresentata come un’architettura romanica. Per la rappresentazione di alcune scene relative a certe depravazioni dell’eresia dolciniana Manara ha preso spunto dall’Hypnerotomachia Poliphili (Il combattimento amoroso di Polifilo in sogno) con le sue illustrazioni xilografiche, un testo a stampa edito da Aldo Manuzio nel 1499. Nella rappresentazione della pagina miniata del salterio incompiuto di Adelmo (il primo monaco morto) Manara riprende vari manoscritti e varie miniature celebri dando prova di erudizione e di virtuosismo. Mostrando qualche pagina del libro sfogliato da Adso nella biblioteca fa un omaggio ai Commentari dell’Apocalisse redatti da Beato di Liébana, i quali erano stati a loro volta commentati da Eco per un prestigioso volume edito da Franco Maria Ricci nel 1973. Insomma se il romanzo di Eco è un libro fatto di altri libri, il fumetto di Manara è un racconto di immagini ispirate da altre immagini, con rimandi che costruiscono una fitta rete citazionistica. Un colto fumetto postmoderno, dunque.
Peraltro, a un certo punto il fumetto diventa anche autocitazionistico e autoreferenziale. Quando nella notte il novizio Adso incontra la ragazza del villaggio, questa ha le fattezze e le sembianze di Miele, la nota protagonista di altre avventure fumettistiche di Manara. Nel romanzo la scena erotica è modellata sui versi del Cantico dei cantici: anche nel fumetto l’anziano Adso ricorda quell’esperienza unica con le parole del Cantico - “la testa si ergeva fieramente su un collo bianco come torre d’avorio, i suoi occhi erano chiari come le piscine di Hesebon… il suo naso era una torre del Libano, le chiome del suo capo come porpora…” - ma qui il lettore viene avvolto dalle immagini avvenenti di una ragazza splendida e coinvolto in una sorta di apparizione mistica in cui convivono esaltazione erotica dei sensi e sensi di colpa, desiderio e peccato: in fondo viene raccontata anche qui una grande avventura, una vertiginosa ricerca di libertà. E l’erotismo è - come sempre in Manara - rielaborazione intellettuale e culturale del sesso.
Nella trasposizione del Nome della rosa Manara ha peraltro potuto recuperare la sua vecchia passione per Borges: verso la fine degli anni Ottanta aveva realizzato Fone, una storia ambientata su un pianeta - che si chiama “Borges profeta” - in cui c’è un immenso calcolatore che combina sistematicamente le lettere tra di loro compilando così milioni e milioni di libri. Il pianeta di Borges, così, è pieno di misteriose architetture e di infiniti libri che formano un’immensa biblioteca di Babele. I due protagonisti di questa breve storia di fantascienza sono un uomo e un “arturiano” che sono atterrati sul pianeta per caso e che cercano di lasciare il pianeta seguendo le indicazioni di un libro che descrive proprio la loro storia e il loro destino.
Milo Manara dice spesso che il mestiere più antico del mondo è quello del disegnatore. Ha detto anche che se l’uomo più ricco del mondo gli offrisse tutti i suoi averi in cambio della capacità di disegnare risponderebbe di no: “Perché la mia vita è il disegno - ha detto. Senza il disegno, non avrei una vita”.
Noi oggi vogliamo dare a questo grande artista un riconoscimento importante. Per le avventure che ha vissuto e che ha raccontato, per i capolavori che ha creato, per la costante ricerca della libertà, per il segno evocativo e seducente del suo lavoro (Fellini) il Dipartimento di Scienze della comunicazione intende conferire a Milo Manara la Laurea Magistrale Honoris Causa in Media, Arti, Culture.
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