Cavaliera al Merito della Repubblica, perchè no?
In una triste lettera aperta alla Presidenza della Repubblica, Claudia Spielrein Guizzardi motiva i perché
2025-12-18T16:01:00+01:00 - Walter Cori
TERAMO - Mi rivolgo direttamente alla Presidenza della Repubblica non per ignoranza delle procedure, ma per consapevolezza della mia condizione.
Sono una caregiver e una persona con disabilità psichiatrica: sono autistica e bipolare. Sono qui a chiedere l’onorificenza di Cavaliera al Merito della Repubblica Italiana per due motivi semplici e verificabili:
- sono invisibile,
- non possiedo alcuna rete di conoscenze istituzionali che possa “segnalarmi”.
Le scrivo oggi perché non voglio che questa richiesta arrivi quando avrò ottant’anni — se ci arriverò. Non chiedo un premio postumo né un riconoscimento tardivo: chiedo che lo Stato si assuma la responsabilità del presente.
Rivendico questa onorificenza come atto simbolico minimo a fronte di una vita segnata da dodici anni di sopravvivenza estrema. Sono madre di un figlio con autismo grave, con comportamenti etero- e auto-lesionistici, che non mi ha mai chiamata “mamma”. In questi dodici anni ho visto consumarsi la mia giovinezza, annullarsi ogni prospettiva professionale, rendersi impraticabile una vita ordinaria. Sono rimasta in piedi. Questo, in Italia, sembra già un merito eccezionale. Ho fatto la mia parte come cittadina:
- sono stata Presidente di un’associazione che si occupa di famiglie con disabilità,
- ho recuperato fondi senza alcun riconoscimento personale o istituzionale,
- ho scritto un libro sulla mia malattia mentale,
- ho realizzato uno spettacolo unendo arte e impegno sociale.
Arte e scrittura sono state la mia ancora di salvezza. Ma tutto questo è avvenuto senza alcun sostegno da parte delle istituzioni, senza fondazioni, senza reti di protezione. Da sola.
Oggi sono stanca. Stanca di dover lottare ancora per i miei diritti e per quelli di mio figlio: diritto alla salute, alla dignità, alla non discriminazione.
Lo Stato italiano continua a essere strutturalmente abilista e patriarcale: l’inclusione è una parola rassicurante, ma viene applicata solo alle disabilità “accettabili”, “educate”, “presentabili”. Il sistema scolastico ne è un esempio evidente: davvero l’unico requisito per lavorare con disabilità complesse può essere un TFA?
Il ruolo di caregiver, ancora oggi non riconosciuto né giuridicamente né economicamente, grava quasi esclusivamente sulle donne. La domanda che nessuno vuole porsi è semplice: cosa accade quando il caregiver si ammala e diventa disabile a sua volta?
La risposta è altrettanto semplice: nulla.
Sono stanca delle pacche sulle spalle e delle frasi vuote — “la forza devi trovarla dentro di te”. La forza individuale non è una politica pubblica. L’abbandono istituzionale, invece, sì.
E quando si parla di omicidi-suicidi nel contesto della disabilità e della cura, è necessario dirlo con chiarezza: molti sono delitti dello Stato, non tragedie private.
Chiedo questa onorificenza non per vanità, ma come atto politico.
Per rendere visibile ciò che sistematicamente viene rimosso.
Per affermare che sopravvivere, in certe condizioni, è già servizio alla Repubblica - Claudia Spielrein Guizzardi -