19/08/2025 - La Redazione
TERAMO - Siamo al secondo viaggio nelle carceri di Castrogno, viaggio perché — come scriveva Claudio Magris — "viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione", la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o di giudicare una realtà. E ci siamo avvicinati a questo secondo viaggio, sempre con l'umiltà di non sapere abbastanza della vita delle carceri.
La Direttrice si premura di leggerci, con chiarezza e con tristezza, i suoi dati, al pari del Comandante della Polizia Penitenziaria e del Dirigente Sanitario, dandoci la misura dell'abbandono della struttura da parte delle istituzioni tutte e, in specie, da parte del ministero. In data 8 agosto (giorno della visita), Teramo contava 460 detenuti a fronte di una capacità di 250, raggiungendo il decimo posto tra gli istituti più affollati del paese (79%). Gli agenti penitenziari ammontano a 146 unità, ben al di sotto dell'organico previsto di 221. Per valutarne l'insufficienza basta considerare complessivamente si espletano circa 50.000 ore di straordinario. La presenza medica è garantita mentre difetta quella infermieristica. Sparuti sono gli operatori sociali, gli psicologi con le conseguenti ed immaginabili difficoltà per i detenuti.
La nostra visita è allora un tributo, non solo agli operatori che animano il mondo del carcere, ma anche a quelli che nessuno conosce, che qui provano a vivere, provano a dare un senso all'espiazione della pena detentiva, della cui esistenza e delle cui vicissitudini quotidiane (senz'aria, senz'acqua, senza cura) nessuno sa.
Costruito 40 anni orsono, Castrogno, nel tempo di vita — com'è prassi nel nostro paese — non ha subito alcun intervento di manutenzione o di ammodernamento. Le celle, comprensive di bagno, sono appena conformi alla normativa europea (12 mq) ed ospitano due detenuti. Le docce sono comuni e non dispongono spesso di acqua calda; d'estate poi l'entità dell'acqua, che subisce costantemente perdite, è ridotta. Gli infissi rappresentano un insuperabile disagio (finestre che si aprono al primo soffio di vento). Per tacere della raccolta dei rifiuti e della modalità di pulizia degli ambienti.
Già questi dati impongono — ve ne sono molti altri che integrano il degrado della realtà carceraria e l'inefficienza del sistema — una dolorosa riflessione sull'ingiustificata sofferenza dei reclusi e sull'ulteriore penalizzazione nei confronti di chi dovrebbe, in realtà, compiere un cammino di risocializzazione costituzionalmente garantito (art. 27, comma 3, Cost.). Un fine irrealizzabile ? Un discorso appena lucido di denuncia pesa come un macigno sulle nostre coscienze, per non essere riusciti a sottrarre il carcere all'inumanità ed al degrado.
Eppure, la scelta ormai non più differibile è quella di una riforma culturale coraggiosa, che abbandoni l'idea peregrina di costruire nuove carceri e che sia la premessa per realizzare nuove idee e nuovi percorsi della penalità. Dobbiamo convincerci del fatto che quelle strutture, nate esclusivamente per la somministrazione di una pena illuministicamente retributiva, non sono idonee al conseguimento di finalità alternative costituzionalmente orientate e conviene prendere atto di una banale verità, che tutto ciò che di buono riescono con fatica e dedizione a fare il direttore, la polizia penitenziaria, i medici, il personale intero, all'interno del carcere, viene fatto, a ben vedere, nonostante e contro il carcere. Non è un caso che il fenomeno dei suicidi a livello nazionale avvenuti nel carcere dal 1° gennaio 2025 ammonti a 53 (al 7.8.2025) ed è in continua ascesa tanto da rendere indilazionabile un intervento al fine di arginare immediatamente la strage in atto.
Occorre che il governo avvii una politica che ponga fine all'irrazionale moltiplicazione delle fattispecie di reati (anche universali) e di aggravamento delle pene dei reati già esistenti, contrario a principi elementari di proporzionalità, facendo peraltro gravare sul sistema carcerario il destino dell'intero ordinamento penale. Le politiche "carcerocentriche" e "securitarie" rigorosamente perseguite dall'attuale guardasigilli e dai suoi predecessori hanno determinato l'attuale condizione di sovraffollamento carcerario e lo stato umano degradante della detenzione nel nostro paese.
E' doveroso un immediato provvedimento deflattivo, eventualmente anche di clemenza e, quindi, un ripensamento dell'intero sistema delle misure alternative alla detenzione (arresti domiciliari, ammissione al lavoro esterno, allargamento della liberazione anticipata, trasferimento in comunità di tossicodipendenti). Bisogna invertire la rotta verso un cammino avveduto e razionale, quello della depenalizzazione e dell'effettiva decarcerizzazione. Affrontare i problemi del detenuto non è uno spreco di risorse, né un inutile assistenzialismo.
Ci si domanda, da ultimo, perché non abbiamo ancora imparato, una volta per tutte, che investire sul perché della pena detentiva, in un'ottica costituzionalmente orientata, sulla cura preventiva di chi delinque, sui bisogni di un lavoro negato, di una risocializzazione auspicata, richiami innanzitutto un dovere egalitario di uno stato civile e democratico. Perché è così difficile incentivare il passaggio nel modo più ampio possibile dalla cella chiusa alla misura alternativa? Perché le carceri devono tornare ad essere prigioni? - Camera Penale di Teramo "Giuseppe Lettieri" -