AIA Abruzzo, la parola al presidente regionale
Igor Paolucci: "Siamo soli nel calcio ma abbiamo passione tra tecnologia e cambiamenti"
2025-10-25T09:34:00+02:00 - La Redazione
di Stefano Vecellio
TERAMO - È forse la figura più solitaria e incompresa del mondo del calcio: un suo fischio può cambiare il destino di una partita, trasformare la rabbia in gioia, o viceversa. Applaudito o contestato, l’arbitro rappresenta uno degli ultimi elementi di umanità di un gioco ormai sempre più “robotico” e tecnologico, vivendo in un fragile equilibrio tra passione ed errore, solitudine e rispetto. Proprio per questo è importante tutelarne la crescita umana e professionale, per un calcio migliore, soprattutto nelle categorie definite “minori”, ma che esprimono la vera essenza di questo sport, come ha raccontato il nuovo presidente dell’Associazione Italiana Arbitri (AIA) d’Abruzzo, Igor Yuri Paolucci.
Presidente, Lei è stato da qualche mese nominato alla guida di questa importante associazione. Quali sono gli obiettivi che si è posto appena arrivato?
- L’obiettivo più grande è quello di dare continuità all’ottimo lavoro svolto in questi anni dal mio predecessore Giuseppe De Santiis. L’Eccellenza è la punta dell’iceberg, prima dobbiamo partire dalla base, ossia dalla formazione in Prima Categoria e in Promozione, che sforneranno figure arbitrali capaci per scalare le varie categorie.
Nel calcio moderno, come si è evoluta la figura dell’arbitro con l’introduzione delle nuove tecnologie?
- Nelle massime categorie sicuramente c’è stata un’integrazione tra tecnologia e tradizione nel modo di arbitrare. Basti pensare ai VMO (Video Match Officials), ex arbitri di Serie A e Serie B che vengono selezionati appositamente per la Sala VAR. Anche nelle altre categorie professionistiche e nel Calcio a 5 c’è stato un ammodernamento significativo, con l’introduzione del FVS (Football Video Support) e del VAR nei playoff di Serie C. L’AIA si sta adeguando a mano a mano a questi cambiamenti digitali e tecnologici: forniamo corsi di formazione specifica e utilizziamo nuovi strumenti anche nei nostri sistemi interni, soprattutto per gli aspetti riguardanti i rimborsi spese, le designazioni degli organici e tutta la gestione operativa.
Questo sviluppo tecnologico può sposarsi anche in ambito dilettantistico?
- In questo caso c’è un grande tema economico da affrontare. Queste tecnologie hanno dei costi di utilizzo molto alti: ai massimi livelli sono sostenuti dalla FIGC e dalle società, in ambito dilettantistico ciò rappresenterebbe un grosso ostacolo da aggirare. Dobbiamo inoltre considerare il fatto che queste modifiche tecnologiche e regolamentari vengono introdotte dalla FIGC o dall’IFAB e non dall’AIA. Noi ci adeguiamo ai cambiamenti, li studiamo e formiamo gli arbitri di conseguenza. Introdurre tecnologie avanzate nel mondo dilettantistico rappresenterebbe una sfida enorme: gli arbitri forniscono servizio al calcio in base alle regole che il calcio si dà.
Un’altra sfida è quella di abbattere la violenza nei confronti della figura arbitrale, che purtroppo ancora persiste, facendo registrare episodi anche gravi. Qual è la valenza di questo pessimo fenomeno in Abruzzo?
- Negli ultimi anni noi e la LND Abruzzo abbiamo fatto un grande lavoro su questa tematica. L’anno scorso qui in Abruzzo si sono registrati 6 casi, un minimo storico, che ha portato la regione all’ultimo posto per episodi di violenza. Siamo i più virtuosi, ma l’obiettivo è sempre quello di arrivare a zero. Da quest’anno si ha una tutela in più, in quanto la figura dell’arbitro è stata equiparata per legge a quella del pubblico ufficiale, quindi in caso di aggressione si rischia una condanna penale dai 2 ai 16 anni. Purtroppo penso che questo fenomeno sia associato ad un vero e proprio problema culturale, perché la violenza non avviene solo nei confronti degli arbitri ma anche tra tesserati, calciatori, dirigenti. Non si può far finta di niente.
Cercare il dialogo fra l’Associazione e le società potrebbe aiutare a migliorare quest’aspetto?
- Qui in Abruzzo abbiamo ospitato spesso le società nelle nostre sezioni per creare opportunità di confronto. Inizialmente abbiamo incontrato delle remore, la partecipazione era scarsa, ma negli ultimi anni il dialogo è cresciuto. Certo, a caldo, a fine gara, è difficile confrontarsi con le società con la lucidità necessaria, ma bisogna cercare di empatizzare sempre con lo stato d’animo dei nostri ragazzi, che nel caso di errore sono i primi a sapere di aver sbagliato e ad essere dispiaciuti.
In che modo l’AIA Abruzzo aiuta gli arbitri a gestire questi episodi, insieme alle pressioni e alle critiche che comporta questa professione?
- Noi cerchiamo di creare un contesto famigliare nelle nostre sezioni, che sono come delle seconde case per i nostri tesserati. Qui gli offriamo supporto emotivo, lavoriamo molto sull’aspetto psicologico. Inoltre, ai nostri associati mettiamo a disposizione gratuitamente anche un avvocato che li aiuta a gestire eventuali questioni legali.
Un’altra tematica importante è quella legata alla crescita della quota rosa nel settore. Ci sono progetti specifici a riguardo?
- Assolutamente sì, il movimento arbitrale femminile è in netta evoluzione. Esistono tanti progetti specifici organizzati dalla FIFA e anche nel nostro organico la quota rosa sta crescendo sempre di più. Ritengo che arbitrare sia uguale per tutti, non c’è differenza di genere, si seguono le stesse regole e la preparazione atletica è la medesima. Perciò le ragazze non arbitrano solo il calcio femminile, ma vivono le stesse sfide e le stesse difficoltà dei ragazzi.
E come si prepara un arbitro?
- Partiamo da un presupposto: c’è un gap tra la preparazione di un arbitro e quella di un calciatore. Anche noi ci alleniamo in gruppo, ma non siamo una squadra di club. Il nostro non è un lavoro di squadra, non abbiamo 11 compagni che ci supportano, con cui ci alleniamo quotidianamente. Noi siamo soli nel prendere le decisioni, e dobbiamo farlo nel minor tempo possibile. La nostra è un tipo di preparazione diversa, non possiamo allenarci ad arbitrare come un calciatore si allena per giocare la domenica. Durante la settimana facciamo preparazione atletica, analizziamo dei video e delle immagini nelle riunioni tecniche, ma i ragazzi, soprattutto quelli giovani e meno esperti, la domenica vanno in campo per “allenarsi” ad arbitrare. Visto da quest’ottica, capite quanto è complesso il nostro lavoro, soprattutto nel settore giovanile, quando a volte capita che ci sono ragazzi di 14-15 anni che non hanno mai messo piede in un terreno di gioco. Spesso la formazione parte da zero.
Il settore giovanile arbitrale è infatti molto florido.
- L’AIA nasce per offrire un servizio al calcio e quindi è fondamentale partire dai giovani. Prima di ricevere questa nomina, mi sono occupato per più di 10 anni di questo settore nella sezione di Lanciano. Oggi per diventare arbitro internazionale devi avere massimo 35 anni, ciò significa che entro 29-30 anni devi competere ai massimi livelli in Serie A. Questo innesca un meccanismo a cascata, per cui è essenziale rinverdire tutti gli organici, andando a ritroso fino al settore giovanile.
Per il futuro quali progetti avete in cantiere?
- Sicuramente lavoreremo per valorizzare maggiormente il movimento del Calcio a 5 sia dal punto di vista sportivo sia da quello arbitrale. Rispetto al calcio tradizionale ci sono più difficoltà, come la velocità e la reattività. Tante volte arbitrare il futsal viene visto come piano B rispetto al calcio a 11, quando invece la carriera in questa disciplina è entusiasmante.
In conclusione, quale messaggio vorrebbe trasmettere ai giovani che stanno pensando di diventare arbitri?
- Quando entri su un terreno di gioco, ti approcci alla gara e sai di essere il portatore di regole da far rispettare, sei da solo. È un mestiere solitario, difficile, che comporta oneri e onori. Non è per tutti, bisogna saper indossare questa responsabilità e crederci fino alla fine, senza mollare mai. Le società, i calciatori, ci vedono spesso come avversari, che vanno contro uno o favoriscono l’altro, ma noi siamo l’ago della bilancia, imparziali, per dare a entrambe le squadre che si affrontano in campo la stessa opportunità di vincere. Per fare questo lavoro c’è bisogno di cultura rispetto, regole, leadership, personalità, determinazione, capacità decisionali: tutte qualità utili per stare al mondo nella quotidianità. Per questo penso che essere arbitro sia una grande palestra di vita.