“Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi.” (Italo Calvino – Le città invisibili).

Cosa è una piazza? Ce lo ricorda il dizionario Treccani: “Area libera, più o meno spaziosa, di forma quadrata, rettangolare, circolare, poligonale, che si apre in un tessuto urbano, al termine di una strada e più spesso all’incrocio di più vie, e che, limitata da costruzioni, spesso architettonicamente importanti, e abbellita talvolta da giardini, monumenti, fontane, ha la funzione urbanistica di facilitare il movimento ed eventualmente la sosta dei veicoli, di dare accesso a edifici pubblici, di servire da luogo di ritrovo e di riunione dei cittadini, costituendo non di rado il centro della vita economica e politica della città o del paese.”

Quante piazze ha Teramo?

A leggere la toponomastica, di piazze, ce ne sono tante; a voler osservare la destinazione, in particolare quella di “luogo di ritrovo o di riunione dei cittadini” e/o “centro della vita economica e politica della città”, il numero cala drasticamente.

Prendiamo Piazza Garibaldi, ultimamente salita alla ribalta delle cronache cittadine, e non solo, per la proposta di installazione artistica sulla struttura dell’ipogeo: in realtà è una rotatoria circondata da fermate di bus, perchè sono decine d’anni che lo spazio non ha funzione di piazza ma di semplice svincolo stradale. Da quanto è stata inventata l’automobile, infatti, lo spazio ha sempre avuto un ruolo di crocevia viario, e mai quello tipo dell’agorà greca o del foro romano, fatta eccezione, forse, per le serate del 1982 e del 2006, quando l’Italia vinse i mondiali di calcio, e la “rotonda Garibaldi” diventò il punto di aggregazione dei tifosi con tanto di bagno nella fontana che, all’epoca, abbelliva la rotatoria.

Oppure Piazza Dante, da anni destinata a parcheggio, visto che, nonostante la realizzazione del parcheggio interrato, e le buone intenzioni di pedonalizzazione, ultimamente riproposte ma avversate come il male assoluto da una parte di cittadini, lo spazio è dedicato esclusivamente alla sosta, a pagamento, di autoveicoli.

Stessa sorte è dedicata a Piazza Martiri Pennesi, Piazza Giuseppe Verdi (la piazza del mercato coperto), Piazza del Carmine, Largo Madonna delle Grazie (perlomeno non denominato Piazza), mentre Piazza San Francesco è solo un’autostazione per bus.

Di spazi con una identificazione vera e propria di piazza rimangono Piazza Martiri della Libertà, Piazza Sant’Agostino e Piazza Sant’Anna, seppure con una loro diversa identità e con diverse potenzialità.

In periferia non va meglio: solo San Nicolò ha uno spazio che si può definire “luogo di incontro” – Piazza Progresso – mentre la pomposa Piazza Italia di fronte l’Ospedale non è altro che un megaparcheggio, e sempre parcheggi sono Piazza Aldo Moro e Piazza Donatori di Sangue, nella zona “Stazione”.

Quindi, al di là di ricordi di meravigliose fontane zampillanti e fiere agricole di metà 1900, forse, faremmo bene a chiedere di restituire a parti di città il loro ruolo di luoghi di incontro dei cittadini, attrezzando questi luoghi con idoneo arredo urbano e, perchè no, dove possibile, con alberi e zone verdi, creando vere piazze nelle frazioni, nei quartieri di periferia, all’interno del centro storico. Oppure si abbia il coraggio di chiamare i luoghi per quel che sono: rotonda Garibaldi, parcheggio Dante Alighieri, Autostazione San Francesco, parcheggio del Carmine, parcheggio Madonna delle Grazie, ecc., evidenziando, anche a livello toponomastico, che dalle nostre parte, di piazze, non se ne ha bisogno.

Ma una città senza piazze, senza luoghi per la gente, è una città che ha paura di sè; una città destinata a diventare un complesso di strade, di rotonde, di parcheggi, che si priva della bellezza di ammirare se stessa; una città senza cuore e senza identità.

Da notare, al contrario, che i centri commerciali riproducono lo schema tipico delle città di qualche decennio fa: vie e piazze pedonali sulle quali affacciano esercizi commerciali.

Risultato: i centri commerciali sono diventati i nuovi centri di aggregazione; le nostre città si svuotano.

Quindi? Fatevele due domande, e magari troverete pure le risposte.

Raffaele Di Marcello