Un affollatissimo Auditorium capace di contenere oltre cinquecento persone ha accolto Massimo Recalcati, psicoanalista lacaniano che giovedì 23 maggio alle 20,30 si è recato ad Ascoli Piceno, per parlare su “Cosa resta dell’educazione?” ed approfondire temi come l’essere adulti oggi, la crisi dell’adolescenza ed il tramonto della figura paterna.
“ L’educazione è in uno stato comatoso e proprio perché c’è una crisi di questo importante assetto del vivere civile, la comunità si raduna.
Quello che occorre tenere bene in mente è che non è guardando indietro, al modello educativo di cinquant’anni fa che si ridà senso all’educare, cioè, tanto per intenderci, quando “bastava uno sguardo” del padre per incutere quel misto di paura, sgomento e rispetto.
Oggi la paura della parola insita nell’autorevolezza del padre è qualcosa che è tramontata irreversibilmente, al punto che se un minorenne uccide un pensionato, non solo non prova nessun tipo di sgomento come si potrebbe supporre, ma al massimo è pervaso dall’angoscia di come sia potuto accadere di aver fatto tutto quello che ha compiuto e questo gli dia la sensazione che non accadrà nulla.
Allora è opportuno risalire al significato della educazione, che vuol dire accendere nel ragazzo il senso della vita come desiderio, ma al tempo stesso percepire in essa la legge che vi è scritta.
Educare non significa sottomettere il figlio al rispetto delle regole, perché ciò corrisponde all’ammaestramento: la regola è un impedimento esterno, al massimo buona per essere trasgredita.
Il figlio ha insito in lui la domanda di libertà e quindi il desiderio di fare esperienze.
La famiglia sa che, ponendogli delle condizioni (quella di rientrare ad una determinata ora), lo regolamenta attraverso un limite.
Cosa fa il figlio? Non si attiene a quella disposizione e rincasa più tardi, cioè trasgredisce la regola, ma attraverso questo e per effetto del senso di colpa e del sentimento di vergogna, incorpora, anche se retroattivamente, il codice della legge, dunque il principio del limite.
Quando il senso del limite non è acquisito, si può anche uccidere un uomo.
Se i genitori non trasmettono il senso della legge ai figli, questo rende impossibile la incorporazione delle norme.
I leader devono dare testimonianza del senso della legge, che deve valere per tutti.
L’insegnante, se mette una insufficienza così come quando applica un provvedimento disciplinare, non deve provarne alcuna soddisfazione, perché altrimenti non viene percepito come l’autorità che ha dovuto stabilire delle sanzioni a cui non ha potuto sottrarsi, ma avrebbe voluto farne volentieri a meno”.
L’elemento sicuramente più affascinante del pensiero di Recalcati comunque resta quello riferito all’atteggiamento del genitore nel momento in cui è chiamato ad esprimersi rispetto ad una via che il figlio intende intraprendere: il padre o la madre devono pronunciarsi in merito ad un orientamento del figlio.
Sta a loro individuare se quell’indirizzo ha qualcosa di riconoscibile nelle predisposizioni del ragazzo oppure si tratta di qualcosa che ha fatto irruzione nel mondo fantastico del minore da poco e quindi senza ponderazione.
Resta il fatto che comunque il genitore si confronta con il figlio per le linee che intende seguire ma l’ultima indicazione, evidentemente, spetta al figlio.
A questo proposito illuminante è il richiamo alla parabola del Figliuol prodigo: il padre, di fronte alla richiesta del figlio, che pretende la sua parte di eredità per farne ciò che più gli aggrada, non si oppone. Trascorrono anni che il figlio vive nella dissolutezza fino a che, avendo sperperato tutto, si rende conto di non avere di che mangiare. Medita di tornare e lo fa con la consapevolezza di non meritare nulla, perché ha trasgredito ciò che il padre gli aveva insegnato. Vive nel disagio per aver preteso e non essere stato poi nella condizione di saper gestire l’autonomia voluta. Il padre ha sempre in cuor suo reputato che la scelta del figlio fosse all’insegna di una ricerca di autonomia da lui e non l’ha ostacolato: gli ha accordato la libertà che cercava, ma ha, al tempo stesso, adesso che c’è in lui il discernimento di quanto commesso, riaccoglierlo.
Questo nella consapevolezza che il figlio ha ormai elaborato i limiti della sua indipendenza, nata da una pretesa che si è rivelata essere frutto di un suo desiderio per il soddisfacimento di bisogni solo esterni a lui.

La scuola, la famiglia, per Recalcati, devono essere agenzie educative che promuovono la libertà ma, al tempo stesso, suscitano nei ragazzi le ragioni delle norme, da rispettare non per timore di sanzioni, ma perché in quelle disposizioni della legge sono riposte le prerogative del convivere sociale e del significato che ha una comunità, quando vuole essere composta da persone consapevoli.