Il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, non è una data scelta a caso, abbiamo intervistato Lidia Porfiri, laureata in giurisprudenza, attaccante del Centro Storico Montesilvano Femminile, militante in serie C di calcio a 5, dopo il trascorso nel calcio a 11 tra le fila del Bologna Femminile
Ciao Lidia cosa vuol dire essere un’ atleta? Ma, soprattutto, una calciatrice? 
Un po’ difficile riassumere un concetto tanto vasto in poche righe, secondo me, essere atleta, essere una calciatrice, significa inseguire un sogno, lavorando per questo con serietà e dedizione. Significa essere mossa da una passione che va oltre tutto. Oltre il duro lavoro e oltre i pregiudizi. Essere calciatrice, per quanto mi riguarda, significa che per essere nel tuo posto nel mondo, alla fine dei conti, non serve altro che un pallone.
In relazione alla problematica della violenza sulle donne, come descriverebbe la situazione sul nostro territorio?
Da un punto di vista culturale purtroppo siamo ancora troppo lontani dalla speranza di risolvere il problema anche perché i dati parlano chiaro e I casi di femminicidio registrati sono molti, troppi.
Quando parliamo di violenza, sulle donne ma non solo, non ci riferiamo solo alla violenza fisica, ma anche a quella psicologica, verbale, sessuale… Quando, dunque, una donna si definisce “vittima di violenza”?
Una persona, nello specifico di cui parliamo una donna, è vittima di violenza ogni qualvolta un comportamento altrui va a violare la sua libertà. Le sfaccettature della violenza sono molteplici e sarebbe sbagliato limitarne il campo d’azione al solo aspetto fisico in quanto esistono tantissimi atti lesivi che provocano disagi psicologici enormi.
Ad alcune donne capita di subire delle violenze senza riconoscerle come tali, o senza volerle riconoscere come tali. Come si spiega questo fenomeno e come si sta cercando di correggerlo?
Certamente ogni caso è a sé, ma la maggior parte delle donne conosce il proprio carnefice, talvolta ne condivide le mura domestiche, tante altre persino dei figli. E allora si insinuano dei dubbi, si entra in un circolo vizioso che porta tante donne a non essere in grado di denunciare una violenza per paura di tutto quello che ne potrebbe conseguire, a volte arrivando addirittura a colpevolizzarsi. Ma alla violenza non c’è mai giustificazione, è una responsabilità esclusiva di chi la mette in atto. Sicuramente cercare di sensibilizzare le persone sull’argomento, dall’educazione a scuola alle numerose iniziative in merito, potrebbe essere un passo per cercare di arginare questo fenomeno.
La quarantena ha costretto voi, come moltissime altre realtà in tutto il mondo, ad apportare delle modifiche al modo in cui operate. Che cosa è cambiato per voi? E che cosa invece è cambiato per le donne vittime di violenza costrette a restare a casa?
Attualmente la situazione Covid non permette a tante calciatrici di allenarsi e giocare. Inizialmente abbiamo ripreso ad allenarci con tutte le dovute precauzioni previste, dai palloni alle casacche sanificate, ma il peggiorare della situazione ha costretto lo Stato a ridurre i rischi del contagio intervenendo anche in questo senso. Per noi amanti del calcio, e più in generale dello sport, è una sofferenza non poter dedicarsi a ciò che si ama, ma sono sicura e speranzosa che tutta questa situazione possa finire il prima possibile e tornare a giocare quando sarà possibile sarà ancora più bello.Ma se per noi adesso come adesso sono tempi bui, lo sono ancor di più per tutte quelle persone costrette a rimanere in casa vivendo in contesti difficili. Per quanto riguarda le donne vittime di violenza, infatti, la quarantena ha sicuramente accresciuto il pericolo per tante di loro, considerando che molte violenze avvengono proprio all’interno dell’ambito familiare.
Come consiglia di agire se si è vittime di violenza o se si conosce qualcuno che pensiamo possa esserlo?
Come dicevo prima, molte donne hanno paura ad aprirsi e parlare della loro situazione, chi magari per timore del proprio partner, chi per la paura di non essere creduta o chi perchè tende a colpevolizzarsi. Ma non mi stancherò mai di ripeterlo: la violenza non può e non deve essere giustificata. In nessun modo. Ed è per questo che bisogna raccogliere tutto il proprio coraggio e denunciare. Quello che potremmo e dovremmo fare tutti noi nel nostro piccolo, secondo me, sarebbe imparare ad ascoltare il prossimo con più attenzione e senza giudicarlo: piccoli gesti, quali l’ascolto e la solidarietà, possono essere di grande contributo per chi vive situazioni difficili.
Un’ultima domanda per cercare di costruire insieme, da oggi e nel nostro piccolo, un futuro migliore: qual è l’insegnamento più importante che possiamo trasmettere alle nostre figlie ai nostri figli e per far sì che le terrificanti statistiche di oggi non siano più così spaventose un domani?
Il miglior insegnamento è senza dubbio l’esempio. Esempio che ognuno di noi può e deve dare, in casa e fuori dalle mura domestiche. Un bambino che nasce in un ambiente sereno, fatto di rispetto, dialogo e comprensione non potrà che sviluppare sentimenti uguali nei confronti del prossimo. Un’ultima cosa che mi sento di dire è questa: un uomo che nei tuoi confronti usa violenza non è un uomo che ti ama. E non è neppure un uomo.
di Andrea Iommarini