Quei camion militari che attraversano le vie centrali di Bergamo, sarà una immagine che difficilmente potrà essere rimossa dalle consapevolezze emotive di tutti noi.

La cultura antropologica e religiosa che ci portiamo dentro ha sedimentato in noi, lungo i secoli, il senso del principio per cui essere presenti, quando una persona per noi significativa scompare , sia fuori discussione.
Sentiamo, giustamente, inconcepibile essere assenti, nella circostanza dell’estremo saluto da dare a chi è stato per noi rilevante
Rappresenterebbe per noi una specie di “storia non chiusa” se mancassimo a quell’ultimo accompagnamento.

La nostra coscienza ci tormenterebbe nel tempo per quella persona non salutata, casomai perché bruscamente venuta a mancare, il cui decesso è avvenuto ad enorme distanza da noi, la qualcosa ha materialmente impedito perché quel lutto venisse condiviso con la famiglia e con le altre persone che l’avevano conosciuto, apprezzato, amato.

Il tempo successivo ad una scomparsa serve per la “elaborazione del lutto”, cioè per la interiorizzazione di una mancanza di cui non sappiamo spiegarci il perché e ci sfugge il senso.
La vita, a quel punto, si riappropria dei suoi significati profondi, che sono ricondotti alla essenzialità, alla sobrietà, al suo senso reale.

La ritualità che fa da contorno al distacco, serve ad ammorbidire, a stemperare quella separatezza che è dato solo accettare e poter trasferire in noi quegli elementi di ricordo della persona che non c’è più, che serviranno, in definitiva, a rendere più tollerabile un continuare a camminare su questa Terra, pur nella mutilazione di chi tanto aveva contribuito a renderci quell’itinerario più agevole e ricco di senso.

Immaginiamo, per un attimo, che tutto questo, per indiscutibili ragioni superiori, non può esserci accordato.
Ha lo stesso effetto dello squarcio improvviso che lesiona irreparabilmente qualcosa che avevamo preordinato, immaginato, preventivato.

Immedesimiamoci allora, per un attimo, nell’animo devastato dei tanti fratelli bergamaschi, bresciani, piacentini e degli altri territori in cui questo terribile covid 19 ha seminato lutti ed ha impedito una vicinanza, non permettendo di chiudere in modo dignitoso ed amorevole una relazione, che pure avrebbe meritato di altra atmosfera per una degna sepoltura.
A noi, cui è stato risparmiato questo strazio, viene in definitiva chiesto di non uscire di casa.
Questo tempo risparmiato che forse avremmo impiegato in modo non indispensabile, anche se ritemprante e rigeneratore a seguito di una domiciliazione forzata, dedichiamolo per una solidarietà a vantaggio di coloro che stanno attraversando uno sgomento indicibile.

Da psicologo, posso sostenere che se accompagnare una persona colpita da un lutto perché possa elaborarlo, è cosa estremamente delicata e rigorosa, in quanto presuppone ascolto, silenzio, discreto accompagnamento, prestarle vicinanza in circostanze così tragiche è opera estremamente ardua che implica davvero una adeguatezza verso cui molti colleghi dovranno assolutamente essere all’altezza, soprattutto per una calibratura emotiva che si conquista in molto tempo.

Non posso quindi non compenetrarmi nella impegnativa e meticolosa opera di ricostruzione di “una trama emotiva lacerata traumaticamente” a cui molti psicologi e psicoterapeuti lombardi, emiliani e romagnoli, veneti, piemontesi e non solo, saranno chiamati a porre mano con sapienza e con un coinvolgimento non comune.
Le istituzioni, a cominciare da quelle massime del Paese, dovranno mettere in rubrica quest’opera “ciclopica” e dovranno considerarla prioritaria, se si vorrà dare alla parola “ripartenza” un valore semantico degno di quel significato.

di Ernesto Albanello