Proprio come il virus dell’influenza colpisce tutti dai più piccoli ai più grandi, anche la crisi sembra non guardare in faccia a nessuno. Lascia i suoi segni sia su marchi storici, recente è la notizia di Bialetti e i suoi 68 milioni di debiti, ma anche su piccoli commercianti al dettaglio. Basta dare uno sguardo alle vie principali di molte città italiane per vedere quanti sono i negozi chiusi o in affitto.

Ma è possibile che non c’è una soluzione a questo male?

Di solito quando un imprenditore o commerciante vede che i propri prodotti o servizi non trovano un acquirente, la prima soluzione per cui opta è abbassare il prezzo. Ma è la strategia giusta? La scelta di abbassare il prezzo comporta che anche i concorrenti si adeguino e in un continuo rimbalzo di ribassi succede che alla fine tutti si fanno male e nessuno porta a casa il risultato.

In altri casi si imposta la propria comunicazione sulla qualità del prodotto. Ma che cos’è la qualità? La qualità è un concetto aleatorio e difficile da stabilire per chi non è un tecnico del settore, come spesso accade per i clienti.

Bisogna allora trovare una strategia diversa per attirare gli acquirenti. Ci viene in aiuto l’intuizione di Jack Trout, che insieme al suo partner Al Ries ci ha consegnato tra le mani un’importante teoria: quella del positioning. Fare brand positioning significa distinguere un brand – cioè l’insieme dei suoi valori, il concept, lo slogan, il logo, i colori, il simbolo e il font – dalla concorrenza. Questo significa che per ogni categoria merceologica, i clienti si formano una specie di “montagna”. Per fare un ottimo brand positioning è necessario issare la bandiera con il proprio brand sulla vetta di questa montagna. Tanto per fare un esempio, alla parola “pasta”, la nostra mente risponderà quasi sicuramente “Barilla”. La Barilla negli anni ha costruito un ottimo brand positioning conquistando a colpi di pubblicità e al suono di “Barilla: la pasta degli italiani” la vetta della categoria merceologica “pasta” nella nostra mente.

La strada da percorrere quindi è quella di cercare di differenziarsi dalla concorrenza. Non è semplice, ma molte aziende ci sono riuscite. Bisogna crearsi una propria nicchia di mercato. Geox nel mondo delle scarpe si è creata la nicchia delle scarpe che respirano, la Red Bull nel mercato degli energy drink si è presentata con la bevanda che “mette le ali”, Rio Mare ha invaso i supermercati con il tonno pinne gialle. Ognuno ha analizzato il proprio mercato e ha cercato di capire come potersi differenziare e andare incontro ai gusti di una porzione di clientela insoddisfatta dall’attuale offerta sul mercato.

Il brand positioning non è applicabile solo per i grandi brand. Anche il piccolo commerciante sotto casa, infatti, può trarre vantaggio da questa strategia. Facciamo un esempio: se in una città ci sono tanti bar e tutti propongono la stessa offerta, senza raccogliere grandi incassi a fine giornata, pensare di diversificare i propri servizi può essere utile, ovviamente considerando la propria clientela attuale. Se il bar è posizionato in una zona frequentata da un target giovane, magari può specializzarsi negli aperitivi. Se il bar è invece frequentato da clienti che preferiscono consumare il pranzo in ufficio, può pensare di organizzarsi nella preparazione di panini da servire in apposite confezioni pratiche da trasportare e magari prevedere dentro anche il posto per una bevanda. Se il bar è, infine, frequentato da famiglie, si può invece pensare di concentrarsi su quel target, proponendo prodotti che stuzzichino il palato dei più piccoli e non solo degli adulti.

Il brand positioning, quindi, appare come il vaccino giusto contro la crisi, garantendo la possibilità di avere una propria clientela e di non dover ricorrere alla strategia del ribasso per avere in negozio qualche cliente in più. Provare per credere.

di Annalisa Di Giammarino