La chiesa brasiliana lo aveva detto a gran voce. Le organizzazioni internazionali avevano protestato. Scrittori, musicisti, sportivi, intellettuali e giornalisti latino americani, molte università americane ed europee, avevano manifestato.  Ora sappiamo che avevano ragione.

Tutti falso. Era tutto inventato. Si erano inventati tutto pur di arrestare l’ex Presidente Luiz Inacio Lula da Silva. La Corte Suprema del Brasile ha confermato la sentenza che annulla le condanne per corruzione dell’ex presidente Lula da Silva, il quale potrà così candidarsi per un nuovo mandato presidenziale nel 2022, sfidando l’uscente , il fascista reazionario negazionista Jair Bolsonaro, intenzionato a ricandidarsi.

Ieri mattina la Corte ha annullato le condanne di Lula. Leader della sinistra popolare che ha guidato il Brasile attraverso un boom economico dal 2003 al 2010.

Lula è stato una figura dominante della politica brasiliana per vari decenni, prima come leader sindacale degli operai metalmeccanici, quindi come presidente carismatico, tra il 2003 e il 2010. Lasciò la presidenza con un indice di gradimento di oltre l’80 per cento e Barack Obama lo definì il politico più popolare del pianeta. Dopo il lungo periodo di boom economico, che gli permise di varare imponenti riforme a favore delle fasce sociali più deboli, subentrarono però negli ultimi anni i segnali di una crisi che ha portato il Brasile in recessione mentre gli scandali di corruzione cominciarono a colpire l’entourage dell’ex presidente e il suo Partito dei lavoratori. Lula è stato così costretto a rinunciare a candidarsi alle presidenziali del 2018, a causa di una prima condanna nel luglio 2017, lasciando campo libero alla destra di Bolsonaro.

Nonostante le proteste della chiesa brasiliana che aveva parlato apertamente di colpo di stato, Lula era stato incarcerato nel 2018 con l’accusa di aver preso tangenti da società che cercavano di ottenere contratti dal gigante petrolifero statale Petrobras. Ha trascorso in carcere 580 giorni. Soprattutto, era stato privato dei suoi diritti politici. Lula ha sempre sostenuto di essere innocente e che le accuse nei suoi confronti erano frutto di un complotto per escluderlo dall’attività politica. Un vero colpo di Stato con la complicità di magistrati come Sergio Moro che poi è entrato a far parte del governo fascista di Bolsonaro.

La Corte Suprema giovedi  22 si pronuncerà anche sulla decisione che ha ritenuto che il giudice Sergio Moro fosse prevenuto nel condannare Lula.

Ora il settantacinquenne Lula, come un’Araba Fenice, può rialzarsi dalla polvere e candidarsi alle elezioni del prossimo anno per sfidare il grande nemico, l’attuale presidente e quasi certo ri-candidato della destra Jair Bolsonaro. Il popolo di Lula – ossia l’ampio fronte di sinistra che va dalla borghesia illuminata di San Paolo alle favelas di Rio, passando dalle campagne dei “sim terra” – ha festeggiato il ritorno del loro paladino. La destra di Bolsonaro – grandi imprenditori, latifondisti e ultraconservatori – ha accusato l’alta corte del Brasile di aver regalato l’impunità all’ex leader.

In uno scontro elettorale diretto Lula resta ampiamente favorito: secondo l’ultimo sondaggio di fine marzo otterrebbe il 58 per cento delle preferenze contro il 38% di Bolsonaro. Sono tante le persone che si muovono intorno ai due contendenti e il duello è solo all’inizio. Un ruolo fondamentale lo giocano la pandemia che sta mietendo una strage, e i militari. Da qui alle elezioni dell’ottobre 2022 tutto può ancora succedere. Nelle aule dei tribunali, nei palazzi della politica e soprattutto nelle piazze del Brasile. Se io fossi nel servizio di sicurezza di Lula starei molto attento, perchè Bolsonaro è capace di tutto.