Tutti lo conoscono. Tutti lo stimano. E’ stato arrestato. Ha lo sguardo mite, il sorriso dolce. Parla con gentilezza. Mai una parola dura . Un insospettabile. E’ un mio amico. E’ stato arrestato . Ma non si è saputo.  Per fortuna. E non sarò io a dire chi è. I lettori con il prurito anale che vogliono sapè, pè condannà, possono avviarsi per la via di fanculo, e quelli che vogliono dire “lo avevo detto io” possono cambiare subito lettura.

Mi interessa dire altro. Per condannare ci sono i giudici. Per assolvere i preti. Mi interessa dire, e dunque dico solo che per me anche lui è un simbolo della pandemia canaglia. Anche lui è il simbolo della crisi.  Non è un’infermiera stravolta dai turni di lavoro senza sosta contro il Covid 19. Non è un musicista. Non lavora in teatro. Ma anche lui è stato massacrato dalla zona rossa estesa a (quasi) tutta Italia. E’ un imprenditore che è stato messo in ginocchio, e senza più avere sicurezza per il futuro suo e della sua azienda ha commesso un errore. Avrebbe potuto cedere alle tentazioni del racket che sta provando ad infiltrarsi nel tessuto sano della nostra Provincia come un lurido topo di fogna. Ha provato a forzare la mano a risollevarsi. E ha sbagliato. Forse. Lo deciderà un giudice. Ora vorrebbe tornare indietro. Ma non si può. Molte delle persone che lavorano nel suo settore sono provate, angosciate e piene di paura. Sono persone senza lacrime. Senza forze. Rimane solo la dignità per non mollare. Qualcuno si lascia andare.

Dopo un anno di agonia, con i lockdown da pandemia a travolgere città e paesi, costa e montagna, come l’onda inaudita di uno tsunami, si spengono le insegne, si spengono le speranze, si spengono le vite. Senza colpa. Quando le spese corrono, il sussidio fa ridere, il turismo è azzerato, il telefono è muto, i dipendenti si allontanano, e senti che la peste malvagia sta azzannando la tua vita, e ti accorgi che sta volando via lo storia della tua vita, che stai perdendo i tuoi sogni, e non sai più cosa mettere in tavola. Puoi sbagliare. Ma, ogni dopo, è sempre troppo tardi. Chi non sa più cosa fare, chi non ha la forza per resistere, chi non ha la fede in se stesso e in Dio, può sbagliare. Se ti entra maledettamente in testa il dubbio che da certe ferite non si guarisce, provi ciò che non avresti mai fatto. Ma, dopo, tornare indietro non si può. Chiedere scusa non basta.

Ora, oggi, è tardi. Ma in fondo la colpa di ciò che ci accade nella vita è esclusivamente nostra. Come scrive Paolo Coelho ,tanta gente ha avuto le nostre stesse responsabilità ma ha reagito in maniera diversa. Di fronte ad una scelta che si rivela sbagliata o ad un errore dalle nefaste conseguenze si vorrebbe sempre tornare indietro, per correggere la sequenza al momento opportuno. Ma tornare indietro è una mera illusione. Intrapresa una strada, questa produce degli effetti su di noi e intorno a noi. Con il senno del poi non sbaglia mai nessuno. Lo stesso vale per le parole. Non si torna indietro, non si cancella ciò che è accaduto.

Mentre mi raccontano questa storia sono seduto su una panchina di villa Borghese, davanti un bellissimo tramonto che chiude una bellissima giornata romana. Davanti a me un gruppone di giovani che leopardianamente “lascia le case, e per le vie si spande; e mira ed è mirata, e in cor s’allegra”. E vorrei dirgli che nella “notte bastarda” della emergenza che stiamo occorre non lasciarci provocare dagli eventi. Vorrei dirgli di usare bene il loro tempo! Un tempo di grazia. Vorrei dirgli di fare qualcosa di buono. Con passione. Vorrei dirgli di attraversare questo grave momento di prova, senza scoraggiarsi. Senza lasciarsi andare. Perché indietro non si può tornare. Ma nessuno mi ascolterebbe. Quando si perdono le ragioni della speranza. Quando si perde la fiducia, è facile sbagliare.  Ogni volta che è capitato a me, avrei voluto che ci fosse stato qualcuno a dirmi che tornare indietro, poi, non sarebbe stato possibile. Ma si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio.