PESCARA – Alla Magneti Marelli di Sulmona, e non solo, si alza il grido di allarme degli operai. Lo stabilimento è rimasto chiuso sabato e domenica e riaprirà i cancelli domani lunedì. Bisogna fare i pezzi. I pezzi sono gli ammortizzatori per il Ducato in produzione alla Sevel di Atessa e per le esportazioni in Messico. Una cosa è certa non sono beni di prima necessità.

Ci sono aziende che chiudono per due settimane, altre che sono già ripartite, altre che non si sono mai fermate. Non stiamo parlando di aziende della filiera agroalimentare o farmaceutica che sono essenziali anche in questa fase. Parliamo di tante produzioni assolutamente non indispensabili. Parliamo di multinazionali per le quali evidentemente i lavoratori sono solo strumenti, parti della macchina produttiva, cose da consumare. Rifondazione comunista sta raccogliendo il grido di allarme di lavoratori da tutta la regione per l’inadeguatezza del pilatesco accordo tra governo e parti sociali. Non possiamo tacere e chiediamo l’intervento di prefetti, ispettorato del lavoro, sindaci e Asl, per la tutela della salute di lavoratori nei luoghi di lavoro.

Quale potere di contrattazione hanno i lavoratori dello stabilimento di Sulmona di fronte ad una multinazionale giapponese Calsonic Kansei Corporation (attuale proprietaria di Magneti Marelli) senza più legami con il territorio? Saranno stati sufficienti alla Magneti Marelli 2 giorni per provvedere alla sanificazione dello stabilimento ed a cambiare il processo produttivo in funzione della sicurezza dei lavoratori? Ed anche ammesso questo, che senso ha rischiare la salute per produrre ammortizzatori? Nel processo produttivo della Magneti Marelli vi sono operazioni ripetute a ritmi serrati, si lavora anche gomito a gomito, impossibile rispettare la distanza di sicurezza di 1 metro indicata in tutte le ordinanze e protocolli sottoscritti. E le mascherine? Un oggetto aleatorio, che forse secondo l’azienda arriveranno martedì. Ancora una volta non ci sono molte spiegazioni. Lo stesso governo Conte sull’argomento lascia alla discrezionalità e quindi i lavoratori sono nelle condizioni di subire le scelte aziendali giustificate anche dietro la scarsità del bene. Per ora non c’è nessuna indicazione su scaglionamento dell’ingresso e dell’uscita dai cancelli della fabbrica. Per la mensa i tavoli da 4 saranno occupati da 2 persone.

I lavoratori temono che come misura per il contenimento del virus ci sia la chiusura di spogliatoi e docce, difficile garantire il rispetto delle distanze tra le file degli armadietti se non si rimodulano e contingentano almeno gli ingressi.

Purtroppo già altre aziende hanno scelto di risolvere il problema chiudendo gli spogliatoi.

Quindi dopo ore di lavoro, né ci si cambia né ci si lava. Si torna a casa con la tuta blu e magari con il virus addosso con tutte le conseguenze che si possono immaginare durante i trasporti.

Ai lavoratori da un lato si chiede di stare a casa il più possibile e dall’altro gli si impone di recarsi a lavoro laddove mancano i dispositivi di sicurezza.

Per questo segnaleremo la situazione alle autorità competenti affinché si attivino immediatamente controlli, non si possono lasciare soli i lavoratori. La Costituzione e il diritto alla salute valgono dentro e fuori dalla fabbrica non possono esserci zone franche.

È evidente che il protocollo governo-sindacati-imprese è inadeguato e quindi inefficace per fare prevenzione del contagio nei luoghi di lavoro dato che si lascia sostanzialmente alle imprese di decidere se tutelare o meno la salute dei lavoratori. Chiediamo la chiusura di tutte le produzioni non essenziali e la copertura economica e dei salari con un intervento adeguato dello Stato.

Segnaliamo una contraddizione palese. Quando il mercato non tira le imprese usano cassa integrazione a loro piacimento perché serve a loro. Ora che c’è un problema di salute pubblica evidente non si può fare la stessa cosa?

Maurizio Acerbo, segretario nazionale PRC-SE

Marco Fars, segretario regionale PRC-SE Abruzzo