In queste giornate fredde e piovose sarebbe bello se in ogni famiglia cristiana  si facesse il presepe.  Unico, vero, simbolo del natale, con i suoi valori e le sue tradizioni.  Non è importante come si allestisce il presepe, se è grande o piccolo, ricco di statuine o povero, di plastica o legno o ceramica, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita.  Quest’anno, l’Avvento ha un significato particolare, sembra quasi che la pandemia che ancora ci incalza, non ci permetta di sperare che un nuovo evento si compia, che un nuovo tempo di speranza possa accompagnarci.  Forse quello che aspettiamo non è ciò che può avvenire.  Siamo persino convinti che questo sia un tempo di resistenza, di trincea, di clausura; ma un tempo che non cambia nulla, in cui non c’è posto per un Avvento, per una novità, per un cambio di mentalità e di stili di vita, per costruire una realtà di prossimità. Abbiamo perso la capacità di sognare, per cui nella nostra vita non potrà esserci un Avvento, perché l’Avvento è un fatto straordinario, che richiede uno sguardo aperto e limpido, tipico di chi è semplice e umile. In fondo, l’evento di 2021 anni fa a Betlemme avvenne “fuori le mura”, in un luogo poverissimo ma molto vicino ad una società opulenta e disinteressata…2021 anni dopo sembra che non abbiamo imparato nulla e facciamo finta di non vedere ciò che avviene nella storia, nelle nostre città, accanto a noi.

Il Presepe ci invita a farci Presepe,  uscire lungo le strade e metterci  in cammino, incontrare le persone, vedere i loro volti e ascoltare le loro storie, dirigersi verso l’orizzonte in cui la luce è più forte. Il Presepe aiuta tutti i fedeli a saldare umano e divino. Gesù che nasce, perfetto Dio e perfetto uomo, ripresenta quell’equilibrio tra cielo e terra, tra spirito e corpo, tra mani e pensieri, che risolve tutte le crisi umane. Così Francesco, otto secoli fa, inventava il presepe proprio per unire spirito e corpo e fare memoria viva del mistero dell’incarnazione. Dio era venuto in un recinto, presepe vuol dire ciò che ha dinanzi ( prae-) un recinto, siepe (- sepes): la mangiatoia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti da Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. Il presepe non chiede parole. Guardandolo siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore.  “E’ presepe” quando ognuno di noi si fa portatore della bella notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.

Lasciamo le parole ai dotti, ai sapienti, ai tuttologi che criticano il presepe, e tutto, per non guardare allo specchio la loro misera vita. Noi, che tra mille contraddizioni ci diciamo cristiani  guardiamo invece ai Magi. Insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio guida il corso della storia. Non è importante come si allestisce il presepe, se è grande o piccolo, ricco di statuine o povero, di plastica o legno o ceramica, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi.

Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto. Inoltre, non si dovrebbe ingenuamente ignorare che l’ossessione per uno stile di vita egoista, edonista, consumista, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca». Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia. La speranza, oggi come allora, è un bambino nato in una mangiatoia, fuori le mura, povero fra i poveri, nell’indifferenza di una società opulenta. Per viverla, occorre mettersi in cammino, preoccuparci di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, ascoltare il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato.