Chiara non era solo una seguace di Francesco. Era una ragazza ribelle. Coraggiosa, piena di energia, con le idee chiare e voglia di rischiare, pronta a pagare per portare Gesù nel mondo… Così la vede la regista Susanna Nicchiarelli che continua la propria indagine su figure storiche femminili, e stavolta guarda all’ambito religioso con Chiara, titolo sulla nota santa di Assisi. Nel film, presentato in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2022, la protagonista ha il volto di Margherita Mazzucco, nota per il ruolo di Elena nella serie “L’amica geniale”. Il film inizia ad Assisi nel 1211 quando la 18enne Chiara abbandona la casa paterna e la ricchezza per combattere per un sogno di libertà, seguita a breve da tante donne, ispirata dall’amico Francesco. Il film cerca di trasmettere a tutti l’energia di questa battaglia, quel sogno di rinnovamento voluto con l’entusiasmo contagioso della gioventù . C’è anche un messaggio femminista, perché Chiara voleva fare le stesse cose di Francesco, come il voto di povertà e l’apostolato attivo, che alle donne non era permesso. Chiara d’Assisi fu la prima donna a scrivere una regola originale per le donne, rifiutandosi di declinare al femminile una preesistente regola maschile: la sua è una specie di lotta per i diritti delle donne. Hanno le facce giuste i giovani protagonisti, la Chiara di Margherita Mazzucco, la Lenù del L’amica geniale, e il Francesco di Andrea Carpenzano. Chiara aveva 18 anni quando è scappata di casa e Francesco 30 anni. La recitazione in volgare umbro, alternato a francese antico e al latino è una componente fondamentale di Francesco ed anche di Chiara che usavano  il volgare (non il latino), per portare la predicazione fuori dalle cattedrali e parlare alla gente comune.

Il lungometraggio è interessato a raccontare la giovane età della fondatrice dell’ordine delle Clarisse, a partire dalla sua fuga dalla casa paterna per unirsi all’amico Francesco d’Assisi e facendo voto di povertà. La visione di Chiara si scontra tuttavia con il mondo patriarcale alla base della Chiesa, ma la futura santa non ha intenzione di piegarsi, desiderosa di contribuire alla diffusione della parola di Cristo al pari dei suoi compagni frati. Nell’arco di circa 15 anni, il film circoscrive la quasi interezza del racconto alla chiesa di San Damiano, dove Chiara coltiva la propria vocazione. A parte l’iniziale fuga della protagonista e fugaci incursioni nel viaggio di Francesco in Marocco, la regista rimane incollata alle mura di quel monastero, che per la giovane costituisce la quasi totalità del mondo a lei conosciuto. Un microcosmo di cui la stessa monaca è Sole perpetuo, attorno al quale le sorelle monache e la povera gente orbitano come astri. Nicchiarelli, anche autrice della sceneggiatura, fa della sua missione canonizzare cinematograficamente la patrona della televisione, facendone la paladina di una storia di emancipazione femminile che, invece di prendere vita nella sua essenza umana, è esposta a simbolo di un ideale come si fa con un’icona durante una processione.

Dopo ritratti sfaccettati come quelli di Christa Päffgen ed Eleanor Marx, l’autrice romana compone una vera e propria agiografia. Qualsiasi espediente è accettabile per ergere a eroina la religiosa di Assisi, vessata in ogni modo dalla chiusura di una Chiesa che non tiene affatto a porre uomini e donne sullo stesso piano, sentitasi tradita infine anche dall’amico Francesco, quando questi è costretto a scrivere la regola secondo cui frati e monache sono tenuti a vivere lontani fra loro. Una martire, sebbene non sia andata incontro alla morte per la propria fede, ugualmente oppressa in vita da quegli uomini di Chiesa che ne condannarono la libertà di servire il proprio Dio nel modo che riteneva più vicino agli insegnamenti di Gesù. La sorda prepotenza degli alti prelati, fra cui un arrogante Papa Gregorio IX (Luigi Lo Cascio), è controbilanciata solo dall’ammirazione con cui le donne della sua epoca guardano a Chiara, manifestata all’interno del film addirittura con un intero brano intonato dalle monache che, folgorate dall’esempio della protagonista, ne decantano il nome in un coro reiterato, declamandone una santità tale da permetterle di compiere miracoli quasi senza accorgersene.

Abile nel dare forma ai propri quadri, la regista perlomeno regala alcune immagini suggestive, non temendo di ambientare diverse sequenze nel buio delle campagne umbre e del monastero, usando unicamente la fioca luce delle candele o delle lampade a olio per illuminare la scena. Un’atmosfera suggestiva, che ben cattura la sensazione di quell’epoca per noi tanto lontana e oscura per le donne che osavano ribellarsi a un sistema secolare. Meno convincenti le ricostruzioni in pieno giorno, che in più di un frangente non danno l’idea di una messa in scena pensata per il grande schermo, richiamando piuttosto alla mente produzioni televisive nostrane. La regista cerca di ravvivare anche per mezzo della musica, che nei lavori di Nicchiarelli hanno spesso rappresentato la punta di diamante, qui inserendo veri e propri intervalli musicali, mescolanza di canti gregoriani e balli medievali in cui i personaggi esprimono i propri stati emotivi a mo’ di musical atipico.

Nicchiarelli sembra ripescare dalla tradizione del cinema italiano che tante pellicole ha riservato alle figure del Cristianesimo, quali Il Vangelo secondo Matteo, diretto da Pier Paolo Pasolini. Il maestro è fra l’altro citato ne Le cose più rare di Cosmo, brano del 2013 che compone la colonna sonora del film. Del classico sulla vita di Gesù, il titolo della regista non ha però né la forza intellettuale né la prospettiva antidogmatica. Oltre all’interessante scelta linguistica di alternare latino e volgare, sensata anche alla luce del ragionamento sull’accessibilità alle scritture, Chiara ha poco da offrire a chiunque non si accontenti di sentirsi narrare con voce ammirata la parabola della coraggiosa figlia del conte Favarone di Offreduccio degli Scifi. La frustrazione della monaca nel vedersi attribuita miracoli anche quando questi non avvengono, la menzionata riflessione sulla rigidità della Chiesa per cui è preferibile continuare a declamare la Bibbia in latino per non fare peccato, sebbene le letture risultino incomprensibili a gran parte dei fedeli; strade battute solo di sfuggita e che se esplorate con maggiore cura avrebbero aiutato Chiara a uscire dal binario a senso unico del ritratto apologetico.