La fine del mondo (come lo conosciamo) sta arrivando. E continuiamo a far finta di niente.

I continui allarmi sui cambiamenti climatici, che la scienza ha ormai provato essere accelerati dai comportamenti umani, non sembra preoccupare granchè i decisori politici, a tutti livelli, e, tutto sommato, neppure i cittadini.

In fondo lo scioglimento di migliaia di metri cubi di ghiacciai nell’Artico o gli incendi che interessano vastissimi territori in Siberia, sembrano fenomeni lontani, non solo chilometri, ma anni luce, dalle nostre realtà quotidiane.

Certo, fa molto caldo (in fondo siamo in estate), spesso piovono chicchi di grandine grandi come arance, ogni volta che piove succede il finimondo, ma qualche politico nostrano si affretta a rassicurarci che tutto va bene, e ciò ci basta.

Eppure, che i cambiamenti ciclamitici siano di origine antropica o naturale, un po’ dovremmo preoccuparci, quanto meno per non farci trovare impreparati a quei cambiamenti che sono già in atto e che, nei prossimi anni, saranno ancora più veloci.

La storia, la cui conoscenza dovrebbe servirci per capire il nostro futuro, ci dice che non molti secoli fa, parte del pianeta fu interessata da un periodo caldo nel medioevo, a cui seguì una piccola glaciazione, con importanti conseguenze in termini di spostamenti di popolazioni ed evoluzione di culture e civiltà.

Ancor prima eventi atmosferici estremi hanno determinato la scomparsa di intere civiltà, la migrazione di consistenti popolazioni (si pensi alle invasioni barbariche) e conseguenti guerre, carestie, malattie, ecc.

Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, ma anche se oggi non sappiamo come potrebbe andare, e quali soluzioni potremmo prendere per evitare il peggio, in realtà viviamo abbondantemente alla giornata facendo finta di nulla.

L’innalzamento dei mari non è più uno scenario remoto, ma una realtà che incombe nel prossimo futuro, e parliamo di qualche decina di anni, non di secoli.
Temperature molto calde hanno accelerato considerevolmente lo scioglimento del ghiacciaio sull’isola più grande del mondo, la Groenlandia, in piena zona artica: alcune decine di miliardi di tonnellate di acqua dolce si sono riversate nell’oceano negli ultimi giorni del mese di luglio a causa di temperature ben 20 gradi al di sopra della media del periodo (+5° al posto dei soliti – 13°)
Un dato senza dubbio rilevante se si pensa che, in media, nel mondo, in un anno solare il livello del mare sale di 3,3 millimetri.  A luglio il picco della fusione dei ghiacci ha riversato in mare ben 197 miliardi di tonnellate, innalzando il livello degli oceani di 0,3 millimetri: un miliardo di tonnellate, corrispondenti all’acqua contenuta in 400 mila piscine olimpioniche.

Uno studio, sulla base di scenari elaborati dall’IPCC, ipotizza un aumento di livello fino a 2 metri entro il 2100; la Nasa, in base ad altre simulazioni, ritiene che il livello dei mari salirà meno di 90 centimetri da qui a fine secolo.

Al di là della portata del fenomeno di certo, nel corso dei prossimi ottanta anni, molti nostri territori costieri finiranno sott’acqua, e sono proprio quei territori che, ad esempio in Italia, abbiamo più urbanizzato, cementificato, infrastrutturato, e dove abita la maggior parte dei cittadini.

Ma l’innalzamento dei mari (fenomeno non nuovo, visto che qualche secolo addietro la linea di costa adriatica, ad esempio, arrivava centinaia di metri più ad ovest) non è l’unico problema. L’intrusione di acque salate nelle falde rischia di far diventare inutilizzabili gran parte delle acque di pianura, anche per fini irrigui; inoltre l’acqua potabile, già scarsa in varie zone del pianeta, diventerà sempre più rara e preziosa.

I territori costieri, come già accaduto secoli addietro, rischiano di spopolarsi lentamente, con la ripopolazione delle zone interne che, però, attualmente sono quelle più prive di servizi e infrastrutture e potrebbero non essere pronte ad assorbire il ritorno di abitanti ed attività antropiche.

Inoltre i fenomeni atmosferici sempre più intensi, e di tipo tropicali, che già interessano il nostro Paese, sono destinati ad intensificarsi, ma le nostre città non sono pronte ad opporsi, perchè pensate, progettate e realizzate con schemi vecchi e non resilienti, cioè non capaci di adattarsi rapidamente al cambiamento.

Certo, in un Paese dove non si riesce ad adeguare sismicamente il patrimonio edilizio esistente, pubblico e privato, pretendere che si pianifichi in maniera intelligente, prevedento cambiamenti (certi) di cui pochi vogliono prendere contezza, sembra pura utopia.

Eppure bisogna agire, subito, e a tutti i livelli. Cominciando dal basso, dai piani regolatori generali, dall’adeguamento delle infrastrutture, dai regolamenti edilizi comunali, dalla pianificazione del verde, ecc. ecc. ecc.

Lo capiranno sindaci, presidenti di Province e Regioni e, soprattutto, i cicttadini?

 

di Raffaele Di Marcello