TERAMO – Il prossimo 9 maggio dalle ore 15.00 alle ore 19.30 nell’ Aula 2 Polo didattico “S. Spaventa” dell’Università degli Studi di Teramo” si svolgerà il seminario organizzato dal centro di cultura delle donne “H. Arendt”  “Amore e violenza alle radici della cultura patriarcale”. Il seminario sarà aperto dai saluti del Professor Dino Mastrocola Magnifico Rettore UniTe. Interverranno: Lea Melandri, scrittrice e saggista, promotrice della Libera Università delle donne di Milano, Stefano Ciccone saggista e promotore dell’ associazione e rete naz.le Maschile Plurale, Elena Marinucci avvocata, prima presidente Comm.ne naz.le parità uomo – donna, Luciano D’Amico Rettore emerito e docente di Economia Aziendale UniTe, Laura Di Filippo avvocata e docente di Criminologia UniTe, Elisa Ercoli attivista femminista – presidente Differenza Donna ONG, Fiammetta Ricci docente di Filosofia politica – delegata P.O. UniTe, Irene Giacobbe attivista femminista – AFFI – Power and Gender. Introdurrà e coordinerà Guendalina Di Sabatino, presidente centro “H. Arendt”. L’evento si svolgerà con il patrocinio dell’ Università degli Studi di Teramo, della  Libera Università delle Donne di Milano, dell’ Associazione e rete naz,le “Maschile Plurale”, dell’ AFFI (Associazione federativa Femminista Internazionale) – Power and Gender, di Differenza Donna ONG , del Centro antiviolenza “La Fenice” e Casa Maia.

Alcune anticipazioni degli argomenti che verranno affrontati nel seminario.

La violenza di genere è la violenza perpetrata contro le donne basata sul genere, ed è ritenuta una violazione dei diritti umani. La violenza sulle donne è riconosciuta come un grave problema sociale di dimensioni mondiali. E’ la manifestazione della storica differenza in termine di potere all’interno delle relazioni di genere, differenza che ha portato alla dominazione e alla discriminazione nei confronti delle donne da parte degli uomini e all’impossibilità di un completo sviluppo per le donne.

La violenza sulle donne affonda le radici nella storia dell’umanità, affonda le radici nella cultura millenaria del patriarcato che ha imposto il sesso maschile soggetto della storia, depositario del linguaggio, dei poteri decisionali della vita privata e pubblica, poteri che hanno gerarchizzato i sessi e costruito ruoli sociali che ancora oggi plasmano i corpi, le identità, le relazioni, poteri  che hanno posto le donne in una condizione di subalternità e sfruttamento relegandole nei secoli  nella domesticità  assegnando  la sfera pubblica ad una dimensione esclusivamente maschile. E’ stato il movimento delle donne a nominare politicamente il patriarcato, a rendere visibile e a combattere il suo ordine generatore di violenza, a lottare per sradicare la cultura maschilista inscritta nelle norme del nostro ordinamento giuridico che, fino a pochi decenni fa, legittimava la violenza degli uomini sulle donne, la violenza dei padri e dei mariti sulle mogli, sulle figlie, sulle sorelle, fino a legalizzare l’assassinio a causa d’onore: oggi si chiama femminicidio. Il neologismo coniato da Diane Russell nel 1990 identifica nel femminicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna “perché donna”, in cui cioè la violenza è l’esito di pratiche misogine.

Ci è voluto un secolo di lotte delle donne nelle piazze e nelle aule parlamentari, dove le donne aumentavano numericamente riequilibrando la rappresentanza di genere, per cancellare le violente leggi patriarcali e giungere agli attuali importanti interventi legislativi “anti-violenza”. Tuttavia la violenza maschile non è stata affatto debellata. Tuttavia le donne – mogli, madri, figlie, sorelle, fidanzate -, continuano a morire per mano dell’uomo che dice di amarle.  Lea Melandri, scrittrice e saggista, tra le principali attiviste e teoriche del femminismo italiano, nei suoi studi e riflessioni sostiene: “La violenza nasce dall’interno della famiglia considerata “naturale”, da vincoli di indispensabilità tra madre e figli, che si prolungano nella coppia amorosa adulta, da un immaginario che tiene insieme perversamente la possessività del dominio maschile e il sogno infantile dell’appartenenza a un altro essere … Gli uomini – sostiene Melandri – ereditano un copione di virilità che assicura loro poteri e privilegi, ma che sono la mutilazione di aspetti essenziali dell’umano. ..” Scrive Stefano Ciccone in uno dei suoi saggi:La violenza è questione che riguarda innanzitutto gli uomini. Già perché sono uomini quelli che stuprano, picchiano, umiliano, fino a volte ad uccidere. Uomini come noi, simili a me… è necessario che nel maschile si apra una riflessione..  Non c’è un nemico oscuro nascosto nelle nostre strade da espellere: il male è nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle relazioni e nell’immaginario sessuale che abbiamo costruito, nella divisione sessuale dei ruoli… la violenza è frutto di una cultura condivisa che non è di semplice dominio fisico dell’uomo sulle donne ma che è costruzione di un immaginario culturale che plasma anche la vita delle donne e i loro desideri. Allora il potere non è agito solo con la violenza fisica ma soprattutto nell’introiezione della propria inferiorità da parte delle donne, nell’accettazione del proprio destino, nel sentirsi gratificate da uno sguardo maschile basato su un modello tradizionale …”