Magnifico Rettore,
illustri docenti, cari amici,

oggi, per me, è una grande occasione non solo per ricordare i miei nove anni nella mia Università ma, soprattutto, per condividere il mio cammino che, con mia sorpresa, ha sollecitato l’Ateneo a rivolgermi una particolare attenzione di amicizia e di stima.
Il tema scelto per il mio breve intervento sintetizza quanto ho maturato nella mia vita sia personale che comunitaria. È, infatti, il titolo dei due volumi nei quali ho raccolto alcuni miei scritti: La Chiesa del Concilio. Servire il cambiamento d’epoca.
Nei primi anni ‘70, da liceale e poi da studente universitario, ho sperimentato la gioia e l’entusiasmo di presentare, approfondire e diffondere nelle parrocchie i documenti del Concilio. In un contesto ecclesiale, anche allora, non facile.
Ricordo la contestazione nella Chiesa, in particolare la scelta socialista delle ACLI, le scelte terzomondiali di alcuni movimenti, le comunità di base, anche in Puglia e in Basilicata, e le defezioni di alcuni uomini del laicato cattolico per sperimentare la proposta politica di ispirazione marxista come via storica della fede cristiana.
In questo contesto, ricordo, grazie alla mia appartenenza all’Azione Cattolica, la mia scelta: restare nella Chiesa così come è. Senza se, senza ma!
Devo confessarvi che non è stata per me una scelta difficile, perché il contesto culturale, almeno nella nostra terra, era profondamente ancorato alla fede cristiana. Tuttavia era per me sorprendente costatare come il desiderio di rinnovamento indicato dal Concilio fosse animato da impazienza e, soprattutto, da giudizi su persone e comunità che, nella loro semplicità, cercavano di servire la Chiesa nel miglior modo possibile.
Questa esperienza ecclesiale è stata di grande aiuto a non dimenticare i percorsi di studio e, soprattutto, le grandi questioni della cultura contemporanea che, ad un esame più attento, erano nascoste nelle dinamiche di contestazione e che attendevano risposte adeguate.
Risposte che, nonostante il Concilio, non sono poi venute dalla riflessione teologica. Di qui l’invito di papa Francesco a riprendere i documenti del Concilio, dopo aver definitivamente sancito con il suo magistero, che non siamo più in un’epoca di cambiamento ma in un cambiamento d’epoca.
Non solo. Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate ha ricordato i due sottili nemici della santità: lo gnosticismo e il pelagianesimo.
Con questo richiamo, papa Francesco ha riaperto il discorso sulla teologia invitandola a tornare al Concilio e a verificare quali possano essere le strade per servire il cambiamento d’epoca.
Vorrei indicare tre grandi questioni culturali che ho incontrato nel mio cammino e che ritengo decisive per rispondere all’invito del Papa.
La prima è quella sollevata da Kant: “Ho dovuto eliminare il sapere per fare spazio alla fede” che ha aperto la via al tentativo di ripensare la religione entro i liniti della ragione.
La seconda è quella sollevata dai maestri del sospetto, Marx, Nietzsche, Freud: l’esperienza religiosa come manifestazione del bisogno dell’uomo, che ha aperto la via all’universalismo religioso, e quindi superabile quando l’uomo avrebbe raggiunto la sua maturità esistenziale.
La terza è quella sollevata dallo storicismo che negava la storicità della resurrezione in quanto non documentabile storiograficamente e quindi insignificante per una riflessione scientificamente qualificata.
Sono questioni che sono state considerate riservate agli addetti ai lavori. In realtà hanno aperto la strada alla trasformazione del Cristianesimo in un messaggio religioso e sociale, che in un contesto di cambiamento d’epoca si trasforma in una proposta gnostica o pelagiana, che papa Francesco considera nemica della santità.
Di fronte a questa evoluzione del Cristianesimo in messaggio religioso o sociale, con l’inevitabile crisi della fede teologale, e alla nuova coscienza storica del Concilio che attende di essere accolta e servita, con papa Francesco siamo sollecitati ad accogliere la domanda fondamentale: il Concilio Vaticano II ha optato per il messaggio o per la realtà?
Se apriamo i documenti, in particolate la Costituzione dogmatica sulla Rivelazione, la Dei Verbum, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa, la Lumen Gentium e la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la Gaudium et Spes, non è difficile scoprire che la Rivelazione di Dio nella storia è una sua libera scelta (DV, n.1), che il Risorto è presente e operante nella Chiesa perché essa è una realtà storica (LG, n. 8) e, infine, che la società è diventata storico-dinamica e quindi da costruire (GS, nn. 3-4).
Una tale divergenza tra l’insegnamento conciliare e la trasformazione del Cristianesimo in un messaggio religioso o sociale poteva essere di scarso interesse nell’epoca del cambiamento, ma è diventata decisiva nel cambiamento d’epoca sia per la vita della Chiesa che della società.
Infatti, il Cristianesimo trasformato in messaggio religioso o sociale è in sintonia con la proposta di Kant, accoglie le preoccupazioni dei Maestri del sospetto, destoricizza l’evento della Resurrezione. Purtroppo, però, la storia dell’umanità è entrata nel cambiamento d’epoca.
In altri termini è il cambiamento d’epoca a invitare la teologia a rivedere se stessa e non gli interessi pastorali, sia pure legittimi, della Chiesa. Quando papa Francesco ricorda che l’evangelizzazione non è proselitismo ma servizio, anzi diakonia, intende ricordare, in sintonia con l’insegnamento conciliare, a tutti che la Chiesa non esiste per se stessa come gruppo, sia pure di dimensione universale, religioso o sociale ma come “dimora di Dio”, la nuova creazione nella quale l’uomo vive la pienezza della sua storicità: “Il Figlio di Dio, unendo in sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e risurrezione, ha redento l’uomo e l’ha trasformato in una nuova creatura. Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti”
La Chiesa del Concilio non è una rinnovata immagine dell’esperienza religiosa, più o meno confacente alle attese della modernità ma la comunità, che, fin dalle sue origini, ha donato e dona all’uomo la pienezza della sua grandezza, come ricorda la Gaudium et Spes al n 22: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”
Il cambiamento d’epoca è la via attraverso cui la Chiesa è invitata a scoprire se stessa, come ricordava la domanda pronunciata dal Card. G.B. Montini, futuro Paolo VI, e che ha animato i lavori del Concilio: “Chiesa di Dio, cosa dici di te stessa?”. In apertura del secondo periodo del Concilio, papa Paolo VI fu ancora più esplicito:
“È venuta l’ora, a noi sembra, in cui la verità circa la Chiesa di Cristo deve essere esplorata, ordinata ed espressa, non forse con quelle solenni enunciazioni che si chiamano definizioni dogmatiche, ma con quelle dichiarazioni con le quali la Chiesa con più esplicito e autorevole magistero dichiara ciò che essa pensa di sé”.
Il Concilio Vaticano II ha risposto: una realtà storica posta in essere dal Risorto per servire la società, nella chiara distinzione di ruoli indicati dal paragrafo 76 della Gaudium et Spes: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L’uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna”.
La trasformazione del Cristianesimo in un messaggio religioso o sociale non appartiene al cambiamento d’epoca, ma riporta il Cristianesimo nell’epoca del cambiamento, rendendolo insignificante per la società contemporanea.
Pensando al magistero pontificio post-conciliare e al cammino dell’umanità in questi primi anni del terzo millennio è possibile allora indicare una proposta per rilanciare la Chiesa del Concilio e servire il cambiamento d’epoca: “Allargare gli orizzonti della carità!”
Nell’epoca del cambiamento, l’attenzione della comunità cristiana era orientata verso la carità samaritana, lasciando agli addetti ai lavori quella intellettuale e politica.
Nel cambiamento d’epoca ciò non è più possibile. E’ tutta la comunità cristiana, anzi ogni comunità deve farsi carico di essere sorgente della sinfonia della carità. La carità samaritana senza le altre due si trasforma in assistenzialismo; la carità intellettuale da sola si trasforma in demagogia; la carità politica, senza le altre due, in utopia. Assistenzialismo, demagogia, utopia sono termini estranei al Concilio e che ostacolano la comprensione del nuovo e urgente impegno missionario.
La via della Chiesa del Concilio è quella del realismo, come ha indicato il magistero pontificio del post-concilio:
il realismo ecclesiologico di Paolo VI
il realismo antropologico di Giovanni Paolo II
il realismo della fede di Benedetto XVI
il realismo storico di Francesco.
Con papa Francesco e il suo realismo storico, la Chiesa ha portato a compimento il percorso di comprensione del Concilio indicando i tre pilastri della diakonia della storia: lo sviluppo, la conoscenza e la progettualità. E’ la vera sinfonia della carità, di cui c’è davvero bisogno. Allargare gli orizzonti della carità è la grande eredità sia teologica che pastorale della Chiesa del Concilio per servire il cambiamento d’epoca.
Alla teologia il compito di riprendere con fiducia e creatività i documenti del Concilio aprendosi al cambiamento d’epoca e facendo discernimento tra ciò che appartiene all’epoca del cambiamento e ciò che invece è specifico del cambiamento d’epoca. E’ il più grande servizio verso la società contemporanea.
Agli uomini di cultura vorrei rivolgere un caloroso e deferente invito: non chiedete alla Chiesa ciò che non può e non deve dare. Le domande kantiane, le preoccupazioni dei maestri del sospetto e le prospettive dello storicismo sono ormai vecchi ricordi. Illudersi della loro attualità significa non far tesoro degli eventi dell’89, del 2001 e del 2008 e impedire una rinnovata comprensione della modernità venendo meno al servizio verso le nuove generazioni. Soprattutto in un’epoca in cui le disinformazioni sono più veloci delle informazioni, è urgente condividere insieme l’invito che con tanta amicizia e stima mi sono permesso di comunicarvi: allarghiamo insieme gli orizzonti della carità! Il Concilio aveva indicato la strada, a noi il compito di percorrerla.
È un invito, ma anche un dovere, innanzitutto per me. E spero e me lo auguro per tutti voi.
Pensando al senso del dovere, non posso non ricordare nella Sua Università le parole di Aldo Moro:
“La stagione dei diritti si rivelerà effimera se non nascerà una nuova stagione dei doveri. Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.
Grazie per la vostra attenzione.