Questa è la volta buona, pensò rientrando trafelato a casa. Andò subito in cerca della moglie per raccontargli la fortuna che gli stava capitando! Un monumento vero, grande come l’aveva sempre sognato, che gli desse lustro nei secoli avvenire proprio nella città che lo aveva visto nascere, che gli aveva fornito i mezzi per studiare. Infatti era grazie al Comune di Teramo, e in parte all’Ufficio della Provincia, che aveva potuto diplomarsi con merito all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Tutto era cominciato grazie all’incontro con l’insigne pittore Gennaro Della Monica che lo aveva guidato e plasmato alla Scuola Comunale di Disegno e lo aveva successivamente spronato a raggiungere la scuola per eccellenza, l’Accademia di Firenze, da cui avevano preso il volo i migliori artisti di tutti i tempi.

Qui aveva iniziato a lavorare presso uno studio di terzi, ma tutto il guadagno del suo lavoro non finiva proprio nelle sue tasche. Eppure era bravo in tutte le discipline, dalla pittura alla scultura, dalla progettazione architettonica al restauro di opere d’arte, addomesticando alle sue mani vuoi il legno, vuoi il marmo, o piuttosto il bronzo e qualsiasi altro materiale idoneo ad essere plasmato. La svolta arrivò quando il proprietario dello studio morì d’accidente: Pasquale Morganti ereditò lo studio insieme alla giovane vedova, una piacente madonna fiorentina. Qui creò opere bellissime che gli dettero anche una certa notorietà; ed anche una certa stabilità economica. Finché non tornò a Teramo, nella sua città natale, per le nozze di un congiunto: fu in quell’occasione che conobbe la donna che poi sarebbe diventata la compagna della sua vita. Fu come un colpo di fulmine a ciel sereno, lei era bellissima e forse non aveva ancora diciott’anni; la madonna fiorentina, lo studio, Firenze, furono messi senza ripensamenti dietro le spalle.

A Teramo però non c’era tutto il lavoro che poteva trovare su al nord, aveva dovuto accontentarsi di lavori occasionali, aveva dovuto assoggettarsi ai mestieri più umili. Fino a quella felice notizia: l’Amministrazione Comunale aveva deciso di erigere un monumento per celebrare l’ampliamento della rete idrica, e anche per dotare la città della prima opera artistica moderna! Questa avrebbe dovuto sorgere nel mezzo di una piazza, o comunque in  un sito ben visibile, un’opera da esibire al pubblico con una certa ostentazione.

Non era ancora ben chiaro se il gruppo scultoreo avrebbe dovuto essere realizzato in bronzo o, meglio ancora, in marmo: tutto era conseguente alla disponibilità economica delle casse comunali, che, a dire la verità, avevano già speso tutto per l’acquedotto. Così il progetto fu rivisto, ne furono ridotte le dimensioni, si scelse di addossarlo ad un pilastro del palazzo comunale, con materiale di natura ben più povera del bronzo o del marmo: fu detto al Morganti di usare il cemento e dei massi rocciosi prelevati da una cava del posto.

L’artista avrebbe voluto che l’opera lo impegnasse per più tempo, tanto da poter contare su una rendita economica per qualche anno; ma non si perse d’animo, in ogni caso doveva sdebitarsi con la città che lo aveva fatto studiare! Così si accinse a realizzare quella che sarebbe stata la sua opera maggiore. Il sindaco aveva lasciato carta bianca all’artista in quanto al disegno da realizzare, ma gli aveva riportato i suggerimenti e le aspettative dei personaggi più informati della città: molti propendevano per una coppia di delfini che rappresentassero i fiumi Tordino e Vezzola che scorrono ai lati della città e tra i quali Teramo è stata edificata al tempo dei tempi. Due numi tutelari, insomma, due vele pronte a salpare, la vita in definitiva che nasce dall’acqua.

Il Morganti accettava tutti i consigli, ma non era diplomatico abbastanza per digerirli. Forse era per questo che non era riuscito a fare carriera come aveva sognato in un mondo dove dovevi sempre chinare il capo. I delfini non gli piacevano affatto. Dove mai s’erano visti a Teramo i delfini? Ogni giorno passava per andare a casa di fianco ai resti del Teatro Romano. Teramo non nasce dal nulla, ha una storia di antenati. Chi erano i personaggi che avevano riempito gli spalti del Teatro? E quali farse si erano rappresentate in quel pulpitum? Quali commedie? Magari anche qualche tragedia! Magari anche lo spettacolo di gladiatori contro gladiatori, di cristiani contro leoni! Ecco, i leoni! Fieri, feroci, animali senza macchia e senza paura, che rappresentassero la forza e il coraggio di una città!

Saranno questi animali, i due leoni, a rappresentare il sonnacchioso Tordino e l’impetuoso e ruggente Vezzola! Pasquale Morganti gettò giù il bozzetto definitivo e, nonostante numerosi mugugni, non lo cambiò. A dimostrazione della sua arte verità, un’arte senza compromessi, di un uomo semplice ma assolutamente libero. Completò il suo lavoro, quello per cui viene maggiormente ricordato, e cadde nel dimenticatoio.

Molti dubitano della veridicità di questa storia; ma in mancanza di riscontri alternativi, verificabili, tutto può essere vero, tutto può essere falso.

 

di Pasquale Felix