FOTO | Presentato nella suggestiva chiesa di San Vito il volume "L'assedio della fortezza di Civitella..."

2025-08-20T09:13:37+00:00 - La Redazione

FOTO | Presentato nella suggestiva chiesa di San Vito il volume "L'assedio della fortezza di Civitella..."

VALLE CASTELLANA - Ieri, martedì 19 agosto 2025, alle ore 17:30, nella suggestiva chiesa di San Vito di Valle Castellana (TE), si è tenuta la presentazione del volume “L’assedio della fortezza di Civitella del Tronto e il brigantaggio legittimista nella più critica fase storica dell’Unità d’Italia”. Tra i presenti, gli autori dei diversi contributi del volume: il Prof. Pietro-Giorgio Tiscar, Professore di Microbiologia Generale e Immunologia presso l’Università degli Studi di Teramo; l’Avv. Giovanni Stramenga, discendente diretto di Bernardo Stramenga e il Dott. Luigi Piccioni, discendente del brigante legittimista Giovanni Piccioni. In dialogo con gli autori, il Dott. Leandro Di Donato, scrittore e ricercatore per l’Istituto Abruzzese di Ricerche Storiche.

L’evento è stato aperto dal Presidente della Fondazione Pasquale Celommi ETS, Prof. Viriol D’Ambrosio, che ha ringraziato P. Narcis, amministratore parrocchiale, per l’opportunità di ospitare la presentazione nel luogo di culto. Sono stati quindi presentati i musicisti Thomas Di Giacinto e Federico Parrinello, che hanno eseguito celebri standard della tradizione jazzistica, reinterpretati e arrangiati. L’Assessore alla Cultura, la Dott.ssa Teodora Piccioni, intervenuta anche a nome del Sindaco, il Dott. Camillo D’Angelo, ha dunque ringraziato autori e pubblico, dando ufficialmente il via all’evento.

Leandro Di Donato ha introdotto il volume, evidenziandone l’importanza per la storiografia locale e nazionale e la capacità di fare luce su un capitolo ancora poco esplorato della vicenda postunitaria. Ha quindi contestualizzato il periodo storico dei fatti narrati, richiamando a tal fine il contributo di Angelo Massimo Pompei. Pietro-Giorgio Tiscar ha approfondito il ruolo del suo trisavolo, Raffaele Tiscar De Los Rios, Maggiore Vicecomandante della guarnigione della Fortezza di Civitella del Tronto, responsabile della resa firmata con il comandante Pallavicini, a tre giorni di distanza dalla proclamazione del Regno d’Italia. Giovanni Stramenga ha esaminato la figura del trisavolo Bernardo Stramenga, mettendo in luce la contrapposizione tra le forze anti-clericali emergenti nella nascente Italia e l’idea naturale delle popolazioni del territorio, ancora fortemente legate alla Chiesa. Infine Luigi Piccioni ha dedicato il proprio intervento alla figura dell’avo, poco conosciuta e valorizzata dalla storiografia, riletta alla luce delle complesse contraddizioni di un periodo storico particolarmente conflittuale. L’evento si è concluso con la seconda parte della magistrale esibizione del duo Di Giacinto-Parrinello, ricevuta con calorosi applausi dal pubblico presente.

Il 20 marzo 1861 cadde, dopo una strenua resistenza, la fortezza borbonica di Civitella del Tronto, ultimo lembo di territorio dell’agonizzante Regno delle Due Sicilie ad arrendersi all’esercito italo-piemontese, suggellando la definitiva disfatta militare della dinastia borbonica. Ma già durante il prolungato assedio della fortezza era nato e si stava insidiosamente propagando un nuovo pericoloso avversario della ancor fragile costruzione unitaria: il brigantaggio. Le prime, provvisorie, istituzioni liberali, nate nei comuni abruzzesi dopo l’arrivo di Garibaldi a Napoli il 7 settembre 1860, furono travolte, nelle aree più periferiche contigue allo Stato Pontificio, dalla diffusione di una insorgenza contadina agguerrita e incoraggiata dal centro di comando borbonico. In questo contesto la fortezza di Civitella del Tronto, con una guarnigione di circa 500 uomini fedelissimi al re Francesco II di Borbone, svolgeva un ruolo di direzione, di stimolo e di coordinamento delle insurrezioni locali, a volte intervenendo e collaborando attivamente con gli insorgenti, come a S. Egidio, ad Ancarano e, soprattutto, a Campli, dove guarnigione e contadini ribelli saccheggiarono il paese e operarono numerose violenze sfociate in tre omicidi.

Nel mese di gennaio 1861 l’esercito italo-piemontese guidato da Pinelli attaccò la banda papalina del maggiore Giovanni Piccioni utilizzando anche, contro le popolazioni che ne sostenevano in vario modo l’operatività, metodi repressivi di estrema violenza ed attuando la tattica della “terra bruciata”. Nell’area tra le due rive del Tronto furono incendiati 36 villaggi, i sospetti di brigantaggio venivano catturati e fucilati senza processo, sulla testa degli insorgenti venivano poste taglie per incentivare il sistema delle delazioni, le famiglie stesse dei ribelli alla macchia venivano colpite anche con gli arresti. Pur fiaccata da un assedio perdurante e stringente la guarnigione di Civitella offre numerosi esempi di tenacia e di valore, tra cui la vittoria riportata il 26 febbraio nel respingere, lanciando granate e rotolando sassi, un tentativo di attacco volto a superare con le scale la cinta muraria. Nel mese di marzo era ormai chiaro che il destino della fortezza era quello della resa a discrezione, tanto più che dallo stesso re Francesco II era stato inviato da Roma un messo per indurre la fortezza alla resa.

La data della resa della fortezza, 20 marzo 1861, successiva di tre giorni a quella della proclamazione del Regno d’Italia, è lo specchio della difficile prova che la giovane nazione proprio in Abruzzo riuscì positivamente a superare in extremis. Dopo la resa della fortezza di Civitella il brigantaggio teramano non abbandonò del tutto la matrice politica legittimista iniziale ma gradualmente assunse sempre più marcatamente un’impronta delinquenziale.

Al graduale ma inesorabile esaurimento del brigantaggio nel teramano corrisponde, a partire dall’estate del 1861, una rapida espansione a tutto il Mezzogiorno delle insorgenze contadine, acuite dalle mancate quotizzazioni dei demani. Lo Stato italiano fu costretto ad impegnare in questa lotta fino a 120000 soldati (pari a più di due quinti degli effettivi militari del nuovo Stato), più che nella guerra contro l’Austria del 1859. La guerra durò fino al 1871 e provocò più morti che in tutte le guerre del Risorgimento. Alla fine, più che la vittoria militare dello Stato, fu l’avvio della grande migrazione transoceanica a sgonfiare alla radice il fenomeno. Rimanevano sul tappeto, irrisolti, i grandi problemi strutturali che ne avevano determinato l’esplosione, di cui la classe dirigente risorgimentale, da Cavour in poi, aveva mostrato sempre grave incapacità di comprensione.

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